FEUD 1×01 “Pilot”, Bette e Joan
Feud: Bette and Joan, l’ultima creatura di Ryan Murphy
Feud: Bette and Joan è l’ultima serie televisiva realizzata dal connubio tra Ryan Murphy e il network FX. Archiviati gli insuccessi di The New Normal e il declino inesorabile di Glee, Murphy rimane con furbizia nel formato delle serie antologiche. La formula con cui American Horror Story ha rivoluzionato la serialità americana nel 2011 continua a essere la preferita perché permette di svincolarsi dai problemi più spinosi di un prodotto in serie: la ripetitività, la stanchezza fisiologica dei personaggi e il calo di interesse del pubblico.
Se lo scorso anno è toccato a Il Caso OJ Simpson di American Crime Story, la novità del 2017 è Feud. Ryan Murphy è sempre sulla cresta dell’onda, e dopo aver attinto a piene mani dal filone true crime è già andato oltre, prestando sempre molta attenzione al sentire dei tempi attuali. La discriminazione sistematica e istituzionalizzata degli afroamericani era il tabù da infrangere con la prima stagione di American Crime Story, e in Feud parliamo di un soffitto di cristallo da infrangere che c’entra con l’industria dello spettacolo, la donna e il problema che la nostra società ha con l’ageismo (calco dall’inglese contemplato dalla Treccani online, ho verificato).
Feud è una sottile celebrazione della solidarietà
C’è chi all’inizio pensava che Feud sarebbe stata l’ennesima serie in cui Ryan Murphy avrebbe dato sfogo alle sue predilizioni per le grandi attrici, i grandi ego e le scenografie sontuose. I presupposti c’erano tutti: una serie che scavava nella rivalità tra Joan Crawford e Bette Davis sul set del film che reinventò l’horror al cinema, genere che Murphy ha poi traslato in televisione all’inizio di questo decennio. La sorpresa è che Feud ha ben poco a che vedere con dispetti, veleni e antagonismi: si tratta di una sottile celebrazione della solidarietà che lega le donne che devono far fronte ad una società sempre troppo pronta a relegarle al loro posto.
Joan Crawford (Jessica Lange) ha 58 anni e la sua carriera è in declino; dopo la morte del marito Alfred Steele vuole tornare a recitare, ma per parlare di sé è costretta a concedere dichiarazioni dal retrogusto misogino su Marilyn Monroe ai Golden Globe. Il gossip, da sempre alimentato da rivalità e liti tra donne, non può essere la tomba di un’icona come lei. Per questo motivo designa l’allora 54enne Bette Davis (Susan Sarandon) come sua co-protagonista per il film che le avrebbe riportate sulla cresta dell’onda. Che Fine Ha Fatto Baby Jane? si presenta come l’occasione catartica di risanare un’antico dissapore tra due icone del cinema: come ci insegna Olivia de Havilland (Catherine Zeta-Jones) “le faide non riguardano mai l’odio. Le faide riguardano il dolore”.
Con un cast straordinario – da Alfred Molina nei panni di Robert Aldrich a Jackie Hoffman nel ruolo di Mamacita – Feud indaga le increspature più amareggiate e i desideri di rivalsa di Joan Crawford e Bette Davis. “Tu non mi piaci e io non piaccio a te, ma ci serve che questo film funzioni. Entrambe ne abbiamo bisogno, e tutto quello che ti chiedo è che tu faccia il tuo miglior lavoro” dice Bette a Joan, che poco prima nell’episodio aveva confessato al suo amante Peter (Reed Diamond) “avrò il rispetto di [Bette] anche a costo di uccidere entrambe per ottenerlo”.
Feud è perfetta per Jessica Lange
La cosiddetta “estate indiana” delle carriere di Crawford e Davis viene raccontata con uno sguardo lento e scrupoloso, ma non è questo il problema di Feud. Una serie così introspettiva e analitica non poteva sostenere il ritmo di American Crime Story, tuttavia è l’eccessiva minuziosità nel ricostruire ambientazioni, dettagli e idiosincrasie delle due leggende a rendere Feud un lussuoso reliquiario. Una serie cucita addosso a Jessica Lange, la cui carriera svoltò 7 anni fa proprio grazie a Murphy e al suo coraggio di scritturarla come protagonista di American Horror Story nonostante avesse appena compiuto – orrore – sessant’anni, Feud parte da ottime premesse, ma si inceppa nella messa in scena delle sue aspirazioni politiche.
Un commento tagliente e cinico dei tempi attuali – con la stessa durezza de Il Caso OJ Simpson, ma senza le allegorie di Roanoke – le scenografie ricordano l’attenzione maniacale dell’estetica di Hotel, che rendeva i personaggi e le loro caratterizzazioni secondarie alle atmosfere art deco e opulente. Il declino della Hollywood dei tempi d’oro è lo scenario sulla quale Crawford e Davis si danno battaglia, sole contro un sistema che le vuole fuori dai giochi, redarguite per avere osato avere aspirazioni ancora a cinquant’anni.
Feud è senz’altro una serie tv da vedere, ma la ricostruzione storica cede troppo spesso il passo alla vocazione di critica sociale di cui è pervasa la prima ora. Ryan Murphy è un visionario che talvolta presta la propria voce a curiose annotazioni culturali, ma stavolta il suo talento poliedrico non permette a nessuna delle due dimensioni di emergere. Murphy dà il meglio di sé quando fa della leggerezza la sua arma segreta, e qui sembra essere troppo ansioso di bissare il successo di American Crime Story per concedersi una bordata da guilty pleasure come la sua prima serie, Popular.
Lascia un commento