Memoria e sentimenti nell’ultimo film di Pedro Almodóvar che inaugura la 78° Mostra del Cinema di Venezia, e che regala alla sua protagonista l’ambita Coppa Volpi come migliore attrice. Parliamo della magnifica interpretazione di Penélope Cruz in Madres Paralelas, pellicola che segna la settima collaborazione tra Cruz il regista spagnolo, al quale la sua musa dedica questa vittoria.
A dodici anni dall’Oscar per “Vicky Cristina Barcellona” diretto da Woody Allen, l’attrice di “Tutto su mia madre”, “Volver” e “Gli abbracci spezzati”, torna a stringere tra le mani un premio, il primo ad essere vinto al Festival di Venezia da un’interprete spagnola. Tutto merito del ruolo di Janis, personaggio che Cruz interpreta nell’appassionante e complesso film che segna il ritorno di Almodóvar al Lido dopo il Leone d’oro alla carriera del 2019, e la presentazione del corto The Human Voice con Tilda Swinton nel 2020.
Il cineasta spagnolo torna quello di un tempo per esplorare il mondo femminile attraverso un racconto universale che supera le dinamiche private. Diversamente da “Dolor Y Gloria” dove l’autore rendeva omaggio alla propria madre, Almodóvar mette da parte la visione da figlio e assume quella di due madri single in un travolgente e spiazzante confronto contemporaneo tra passato e presente, maternità e memoria storica.
La prima storia parallela del film si svolge con un incontro casuale, quello tra la fotografa Janis e l’adolescente Ana, qui interpretata da Milena Smit, giovane attrice di Non uccidere candidata come miglior rivelazione al Premio Goya.

La macchina da presa di Almodóvar si sofferma sulle paure e le speranze negli sguardi delle protagoniste, due sconosciute incontrate per caso nelle corsie d’ospedale dove stanno per avere un figlio. Non si tratta però dell’unica coincidenza, dato che per Janis e Ana è solo l’inizio di un forte legame destinato a durare per sempre.
Grazie infatti al conflitto irrisolto vissuto da Teresa (Aitana Sánchez-Gijón), madre di Ana che ottiene il ruolo da sempre ambito come attrice di teatro, la donna abbandona la figlia e la nipotina per andare un tournée con la compagnia, spingendo così la ragazza tra le braccia e il conforto della sua nuova amica Janis.
Ricominciano intanto gli incontri occasionali tra Janis e Arturo (Israel Elealde), l’antropologo incaricato di occuparsi dell’apertura della tomba dove è stato sepolto il bisnonno di lei, assassinato durante la guerra spagnola.

Parallelamente al miracolo della vita, il regista esplora l’inevitabile ombra della morte, elemento presente attraverso una pagina della storia spagnola ancora scottante: le atrocità della guerra civile. Il tono adesso si fa sprezzante e polemico, politico e imperfetto proprio come il comportamento delle due neo mamme alle prese con la maternità non sempre facile da gestire.
Aumenta quindi d’intensità lo sguardo sull’imperfezione delle protagoniste, ma anche quello sull’intera comunità circondata da incertezze e dilemmi. Scopriamo così che la vera madre parallela è un Paese che non ha saputo difendere e dare giustizia ai propri figli vittime di un destino spietato. Ma non c’è speranza nel messaggio di Almodóvar, soprattutto per uno Stato che si interroga troppo tardi sul proprio passato insanabile persino da nuovo inizio, da una maternità.
Assistiamo così a un finale forte e decisivo che lascia lo spettatore disorientato dinanzi a un’opera che, soltanto nel suo epilogo, intreccia tutte le sue sottili e complesse linee parallele della trama. Il risultato è una forte presa di coscienza comune che sembra richiamare la potenza drammatica de Il quarto Stato di Giuseppe Pellizza, immagine finale che trasforma Madres Paralelas da un dramma familiare a una protesta collettiva che in fondo non si è mai fermata, e mai si fermerà.
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