A more perfect union, espressione contenuta nel preambolo della Costituzione degli Stati Uniti d’America, che significa letteralmente “un’unione più perfetta” riassume il contenuto della sesta puntata del capitolo finale di Person of Interest. Siamo quasi a metà del cammino e le fila delle varie vicende narrative vengono tirate con la grande sapienza con cui i compositori barocchi intrecciavano le loro fughe.
Sameen (Sarah Shahi) si risveglia dall’ennesima simulazione fallita, al termine della quale Greer (John Nolan) decide di cambiare strategia: la mente di Shaw continua a non cedere alle lusinghe di Samaritan, per cui l’unica possibilità è mostrarle le motivazioni che lo spingono ad agire. L’altra faccia della medaglia quindi, l’alternativa che non si limita a sventare un crimine, ma amministra la giustizia eliminando i pochi individui che potenzialmente potrebbero causare la morte di migliaia di persone.
La prigione non è sufficiente per gli uomini che con le loro speculazioni hanno impedito la produzione e la distribuzione di vaccini nel Terzo Mondo, così come non lo è per chi si arricchisce speculando sulla sicurezza di passeggeri ignari.
Intanto che Shaw assiste senza convinzione agli “scenari da giudizio universale” che Greer le mostra, Reese (Jim Caviezel), Finch (Michael Emerson) e Root (Amy Acker) sono impegnati a proteggere una coppia di sposi, per impedire che la festa di nozze si trasformi in una tragedia.
La narrazione è divertimento allo stato puro, velato a tratti dalla nostalgia di una normalità agognata, dalla solitudine di cui tutti e tre sono prigionieri, che si trasforma in pura poesia sui loro volti, mentre brindano e assistono all’ultima notte di felicità della famiglia Turner prima che l’avidità di Karen faccia crollare il loro mondo.
Questa però è soprattutto la puntata in cui Fusco (Kevin Chapman) prende la parola in maniera prepotente, deciso a dare una spiegazione alle misteriose scomparse che lo tormentano. Messo da Root sulle tracce di Howard Carpenter, un urbanista che lavora per il municipio di New York, Lionel incontra Bruce Moran (James Le Gros) che sospetta la presenza di un nuovo boss in città, che reclama la sua quota rimanendo completamente sconosciuto. Non a caso Bruce parla di “entità” e provoca Lionel nella sua convinzione di essere volutamente tenuto all’oscuro dal team della reale situazione.
Fusco continua caparbiamente le sue indagini, seguendo le tracce di Carpenter fino al luogo della demolizione, dove trova le persone della sua lista, tutte morte, tutte riverse in una raccapricciante fossa comune: il lato “umano” della guerra di Samaritan, che si libera delle sue vittime come nei conflitti più convenzionali condotti nel mondo dal genere umano.
La scoperta di Lionel separa idealmente il dialogo umanissimo tra Root e Finch da quello tra Shaw e Gabriel (Oakes Fegley) che di fatto trattano la stessa difficile questione: la libertà da conferire all’intelligenza artificiale, il cui vero nodo non sta nel controllo dell’uomo sulla macchina, ma nella reazione dell’uomo al potere illimitato di cui può disporre, proprio grazie alle possibilità offerte dalla macchina.
Ecco quindi concretizzarsi quell’unione più perfetta del titolo nella necessità di proteggere gli esseri umani da loro stessi (…) “al fine di garantire la giustizia (…), promuovere il benessere generale, salvaguardare per noi e i nostri posteri il bene della libertà”. Ma mentre nella filosofia di Root (voce della Macchina) mettere alla prova l’uomo è una strada che si può tentare confidando nel libero arbitrio, in quella di Gabriel (voce di Samaritan) è qualcosa da dover evitare ad ogni costo, perché l’essere umano è votato, per sua stessa natura, all’autodistruzione.
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