The day the world went away è il titolo di una canzone dei Nine Inch Nails, letteralmente “Il giorno in cui il mondo è andato via”, i cui versi condensano magistralmente la lacerazione di Finch (Michael Emerson), che in questa decima puntata di stagione (la centesima dall’inizio della serie), si risolve drammaticamente al cambiamento.
La morte irrompe inesorabile, certamente non inattesa, ma impietosa nella sua crudezza. Nella scena iniziale, Harold si confida con la Macchina, l’unica entità con la quale ha la possibilità di far emergere il dubbio e la paura: egli sa che la sua missione potrà concludersi solo con la morte, ma i suoi amici? Esiste una sola via da percorrere, tra le infinite simulate dalla Macchina, che permetterà loro di rimanere in vita?
Finch blinda di nuovo il sistema, lo costringe a giocare secondo le sue regole. Una Root sull’orlo del pianto lo supplica di desistere, mettendolo davanti alla grandezza della sua invenzione. Lo accusa di non voler portare a compimento l’atto stesso della creazione, rifiutando di dare un nome e una voce all’intelligenza artificiale, per evitare di instaurare quel legame forte, che gli impedirà di ucciderla.
Il nome, un insieme di lettere apparentemente banale, che forgia profondamente il rapporto tra gli uomini, tra l’uomo e il mondo che lo circonda, tra l’uomo e Dio. Nel Libro della Genesi, Dio crea l’universo con la parola e nulla esiste fino a che non ha un nome. L’essere umano domina sul creato perché attribuisce un nome a tutti gli esseri che condividono con lui il Giardino dell’Eden. Finch, rifiutando di compiere quest’atto non riconosce la Macchina come essere senziente, in grado di avere una propria autonomia. Il dilemma etico è grande, ma soprattutto lo è il parificarsi in questo modo ad una divinità in grado di dispensare la vita e accettarne appieno le devastanti conseguenze.
L’opzione sospesa non mette comunque Harold al riparo dal suo destino: la Macchina invia a Reese (Jim Caviezel) e Fusco (Kevin Chapman) un nuovo numero, quello dello stesso Finch. La debolezza di Harold nel ritornare nel luogo del primo appuntamento con Grace gli costa cara, perché con un semplice incrocio di dati, Samaritan fa saltare la sua copertura e ordina una caccia all’uomo senza precedenti.
La trama si snoda allora tragicamente, lasciando però uno spazio per la condivisione dell’ultimo tempo insieme, un malinconico angolo di pace per un inconsapevole estremo saluto: Harold ed Elias, nell’appartamento dove, anni prima, John aveva fatto irruzione per salvare la vita al boss (POI 1*07), Root e Shaw, circondate dall’inferno dei proiettili che cadono come pioggia e di nuovo Harold e Root, nella corsa disperata verso la salvezza.
Lo sgomento e il terrore deformano i lineamenti di solito impassibili di Finch davanti alla caduta dei suoi compagni, mentre viene trascinato via dagli agenti di Samaritan prima e dalla polizia poi, senza avere il tempo di rielaborare l’accaduto: a lui è negato ciò che a John è stato concesso, quando ferito e disperato ha raccolto l’ultimo respiro di Carter (POI 3*09). È la mano pietosa di Reese, che con una carezza, chiude gli occhi di Elias e tocca invece a Fusco dare la notizia della morte di Root.
Alla stazione di polizia, Finch fissa stralunato il suo interlocutore: in un giorno solo, il suo mondo se ne è andato, ha perso le uniche due persone che avevano con lui un legame tanto profondo da chiamarlo sempre per nome. La sua irrisolutezza gli ha strappato un amico e una compagna intrepida, la cui fiducia in lui non è mai venuta meno, nemmeno nei momenti più bui.
Le parole si materializzano in un bisbiglio rabbioso, danno forma ad un monologo terrificante e drammatico il cui dilemma è uno solo:” Se sia meglio per l’anima soffrire oltraggi di fortuna, sassi e dardi/ o prender l’armi contro questi guai e opporvisi e distruggerli “(*1). Harold, come Amleto, può solo decidere se reagire o soccombere, se seguire le regole o cedere al suo lato oscuro.
“Dove tu passi si fa autunno e sera/ azzurra fiera che fra gli alberi risuona, / solitario stagno della sera. /Tenue risuona il volo degli uccelli/ la tristezza sopra l’arco dei tuoi cigli. / Lieve il tuo sorriso risuona. (…)” (*2). Suona il telefono. Harold risponde e la Macchina gli parla con la voce di Root, chiamandolo finalmente per nome.
(*1) W. Shakespeare, Amleto, Oscar Classici Mondadori (Traduzione E. Montale)
(*2) Georg Trakl, Alla sorella, in Poesie, Garzanti (traduzione di Valeria degli Alberti, Eduard Innerkofler)
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