Riverdale 1×13 “The Sweet Hereafter”
The Sweet Hereafter, letteralmente “Il dolce domani”, finale di stagione di Riverdale, prende di nuovo in prestito il titolo da un omonimo film del 1997, in cui una piccola comunità montana è sconvolta da un incidente del bus scolastico, che provoca la morte di molti bambini. Mentre un avvocato cerca di spronare le famiglie a intentare una causa civile per provare una negligenza, molti preferiscono rinchiudersi nel proprio dolore.
Dopo che l’assassino di Jason Blossom è stato scoperto, Riverdale cerca di tornare alla normalità e pensa ai festeggiamenti per il settantacinquesimo anniversario della sua fondazione. Ignora la verità piuttosto che affrontarla, ma quello che l’omicidio di Jason ha fatto emergere è sempre lì presente, pronto a allargare le sue spire.
Da un finale di stagione ci si aspetterebbe una sorta di “composizione” delle storylines dei protagonisti, assieme all’apertura narrativa verso la seconda stagione. In questo caso non succede, o almeno non completamente: il punto di vista di Jughead, che rimane il “filtro” della vicenda, ci accompagna sì verso quello che succederà, ma non compatta attorno al nucleo della vicenda quanto è rimasto in sospeso.
“Tutte le regole da seguire (…) sono in un pamphlet di sessantaquattro pagine di Aristotele, La Poetica. E’ stato scritto circa tremila anni fa, ma vi giuro che se c’è qualcosa che non va in quello che state scrivendo, avete probabilmente trasgredito una delle regole di Aristotele”. Così Aaron Sorkin, celebre autore di West Wing. Tutti gli uomini del presidente, in un’intervista a The Esquire nel 2011, sottolinea l’importanza di determinati aspetti per la buona riuscita di un racconto, di qualsiasi natura esso sia.
Forse la regola che gli showrunners di Riverdale hanno maggiormente trasgredito riguarda l’evoluzione del personaggio, quel capovolgimento di sentimenti e intenti che iniziato nel Pilot avrebbe dovuto sciogliersi nel finale: gli ostacoli che ogni protagonista ha dovuto superare per raggiungere il suo intento avrebbe dovuto scatenare in lui una reazione e quindi un cambiamento.
La costruzione di Riverdale, che si muove per piccoli cerchi, aprendo e chiudendo gli eventi a cui sono soggetti i protagonisti, dai più innocenti ai più scabrosi, non permette del tutto questa evoluzione.
Pensiamo ad Archie, che dovrebbe essere forse il personaggio di spicco: si dibatte tra ragazze e voglia di far musica senza una particolare convinzione. Non vediamo in lui una determinazione assoluta a raggiungere un certo obiettivo. Trascinato dagli eventi, paga la sua indecisione, ma non diventa più maturo o più consapevole di sé. Incarna il prototipo del figlio ideale, nonostante le sue naturali debolezze, l’unico supportato da un genitore onesto, che cerca di fare il meglio e non lo sfrutta semplicemente.
Betty, la brava ragazza, scopre in sé un lato oscuro, che si sovrappone all’instancabile ricerca della verità, in contrasto con i suoi genitori, completamente assorbiti dalla facciata di perfezione che non intendono scalfire. Non vediamo mai però fino a quale punto sia abissale questa oscurità, né un’assoluta concentrazione rispetto a quanto è determinata a svelare e alle sue motivazioni.
Di Veronica, che pure è uno dei personaggi più interessanti, vediamo solamente la versione del “dopo New York”, quando il tentativo di far prevalere la parte più comprensiva e empatica di sé prende il sopravvento. Non vediamo però lo sforzo di questa realizzazione, la dobbiamo semplicemente accettare.
La stessa Cheryl, che vorrebbe suscitare inquietudine, non riesce completamente nel suo intento perché non ci spiega ciò che è, perché lo è ed esattamente quali siano i rapporti che la legano alla sua strana famiglia. Persino le vere ragioni dell’omicidio di Jason, muoiono assieme a Clifford. La disperazione di Cheryl nel finale è purtroppo relegata a un semplice secondo piano, mentre sarebbe stato interessante vedere come lo shock e il dolore l’hanno davvero modificata.
Anche i rapporti e i contrasti tra gli adolescenti e i loro genitori, sono stati trattati in modo quasi univoco: da una parte adulti manipolatori e senza scrupoli, dall’altra i giovani, vere vittime sacrificabili in ogni momento agli scopi più abietti, che cercano la via del bene.
In questo panorama, l’unica parziale eccezione è Jughead, il personaggio più indagato: è un emarginato all’inizio e viene consacrato come tale alla fine, quando riconosce le Vipere come suo gruppo di appartenenza e il Liceo del Sud come suo ambiente naturale. La storia con Betty, non intensa come ci si aspetterebbe da due adolescenti, rappresenta la sua possibilità di riscatto, che supponiamo mancata. Lo sforzo di redimere il padre, il rifiuto della madre, lo portano dritto nelle spire del male, anche se niente ci ha fatto presumere questa sua resa finale.
Riverdale descrive un mondo brutto, dove l’oscurità si allarga sotto la facciata della rispettabilità, dove i rapporti non sono mai del tutto trasparenti. Aspettiamo la seconda stagione, sperando di scalfire il mistero dei rapporti che legano i personaggi tra loro.
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Un saluto alla pagina amica: Riverdale – Italia
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