Più che una satira sull’ambizione politica, The Politician di Ryan Murphy è un’indulgente autocritica del sogno americano dalla quale nessuno, nemmeno lo stesso autore, è esente.
La serie che debutta dal 27 settembre su Netflix è un teen drama post-Trump che è citato solo una volta. Ad eccezione di un pungente riferimento nella sigla di apertura, infatti, The Donald non viene mai nominato nel corso della prima stagione. L’occhio dei co-creatori Murphy, Brenan e Falchuk non è puntato sul Presidente, perché non gli interessa: non cade nel trabocchetto della satira a buon mercato.
Viceversa, la popolarità e il prezzo del successo sono temi dominanti nelle serie di Ryan Murphy, che stavolta prende di mira il carrierismo politico e si prende benevolmente gioco di quegli adolescenti fragili e diventati adulti troppo in fretta. Si tratta di persone che non hanno avuto la qualità che lui riconosce a se stesso: “grande carica e determinazione, necessarie per sopravvivere alla vita”, come dichiarò qualche anno fa a The Hollywood Reporter.
L’uomo che Time ha definito “Re del boom dello streaming” debutta dal 27 settembre con la sua prima serie commissionata da Netflix. The Politician non è la prima serie prodotta dallo streamer, in quanto fu commissionata quando Murphy era ancora legato a Fox TV, oggi di proprietà Disney. Di lì a un mese, Ryan Murphy siglò con Netflix patto quinquennale del valore di 300 milioni di dollari. The Politician è stato il primo passo di Murphy nell’era dello streaming dopo aver confezionato successi come Glee e il più recente 9-1-1 per la network television.
Ogni dieci anni, del resto, Ryan Murphy torna al suo primo amore – i teen drama appunto – offrendo la propria interpretazione sulla generazione del decennio. Questo accadde nel 1999 con il debutto di Popular, la sua prima serie come creatore che realizzò per The WB, e nel 2009 con Glee.
Stavolta non ci sono indici di ascolto ai quali è vincolato: per policy aziendale Netflix non rivela (quasi) mai i propri dati di visione, e di The Politician è già stata commissionata una seconda stagione. Libero dalle costrizioni della televisione, come si misura il genio di Ryan Murphy in termini di binge-watching?
La premessa è anticipata da un avviso che informa gli spettatori: “The Politician parla di ambizione e del prendersi ciò che si vuole”. Nell’arco di otto episodi, Murphy intrattiene lo spettatore con un racconto spassoso che attinge dalla cronaca giudiziaria (la vicenda di Infinity è tratta da quella di Gypsy Rose Blanchard, già divenuta una mini-serie con The Act) e dalla cultura pop, omaggiando film come Election e Rushmore. Per i numeri musicali, il talento del protagonista Ben Platt viene valorizzato dal repertorio di Stephen Sondheim e dai cataloghi di Joni Mitchell e Billy Joel.
Al centro della vicenda Payton Hobart (Ben Platt), all’ultimo anno di un facoltoso liceo di Santa Barbara. Determinato a diventare Presidente degli Stati Uniti, Payton si candida per diventare Presidente del Corpo Studentesco, compiendo il primo passo nella sua ferrea traiettoria verso il successo. Aiutato dagli amici James (Theo Germaine), McAfee (Laura Dreyfuss), dalla fidanzata Alice (Julia Schlaepfer) e dalla madre Georgina (Gwyneth Paltrow), Payton dichiara guerra alla sua rivale Astrid (Lucy Boynton), fidanzata del suo amato River (David Corenswet). Per vincere quella che è in fondo una gara di popolarità, Payton arruolerà come sua vice la sua compagna di scuola Infinity (Zoey Deutch), affetta da una misteriosa malattia terminale e controllata da Dusty (Jessica Lange) una nonna ingombrante e smaniosa di apparire.
Per The Politician, Murphy chiama a sé alcuni dei suoi collaboratori più fidati. Da Gwyneth Paltrow, moglie del co-creatore Brad Falchuk che conobbe sul set di Glee, a Jessica Lange fino a Bob Balaban, quel diavolo di Murphy riesce ad aggiudicarsi anche Bette Midler, Judith Light, Dylan McDermott e January Jones in qualità di guest star.
Le interpretazioni di Ben Platt e Jessica Lange catturano lo spettatore, che gli perdona buchi di trama e la iosa di tematiche controverse che vengono abbozzate e raramente approfondite. Dalla regolamentazione sulle armi da fuoco al suicidio di uno dei protagonisti (che “sentiva tutto troppo”), The Politician promette tanto e mantiene poco, ma va bene così, è solo spettacolo: “Politics is just show business for ugly people”, dice il comico Jay Leno.
“Potete chiamarmi esagerato, pazzo, selvaggio, estremo, erratico, ma non potete dire che io non ci provi. Anzi, non mi interessa come mi chiamate, purché lo facciate”, ha provocato Ryan Murphy nel recente profilo del magazine Time. Che The Politician agli elettori, pardon, al pubblico piaccia o meno, a Ryan Murphy poco importa: c’è sempre il secondo mandato.
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