
Se avete visto la premiere di Westworld andata in onda negli Usa domenica 2 ottobre, sicuramente avrete tante domande a cui vorreste dare una risposta. Jonathan Nolan e Lisa Joy, in un’intervista a Entertainment Weekly, hanno provato a fornirci una sorta di “mappa” utile per la visione, senza svelare nulla di quanto accadrà nel corso della stagione.
Quando e dove è ambientato Westworld?
L’ambientazione di Westworld è qualcosa che scopriremo pian piano, attraverso gli occhi degli Hosts. Il fatto che le riprese esterne siano state effettuate in Utah non significa che il parco sia effettivamente lì. Probabilmente, con il procedere degli episodi vedremo che non solo gli androidi e i costumi sono meticolosamente riprodotti, ma che anche la terra è stata in qualche modo plasmata per ospitare il parco.
Nolan spiega che lo spazio fisico è stato ideato assieme al designer Nathan Crowley: tutte le strutture sono sotterranee, in una specie di grattacielo che sprofonda invece che svilupparsi verso l’alto. Le operazioni di manutenzione degli Hosts più sanguinose hanno luogo nei piani più bassi, mentre in alto, all’aria aperta si trova una sorta di area detox, dove gli ospiti possono godersi qualche lusso prima di tornare alla realtà quotidiana. Una sorta di struttura dantesca, di cui molto probabilmente scopriremo la disposizione degli orrori.
Come lo spazio, anche il tempo è indefinito, o meglio, dalla prospettiva degli Hosts (che è quella assunta dallo spettatore in questo primo episodio) l’epoca presente è un qualche punto a metà del XIX Secolo, mentre il mondo esterno è nel XXI. Quello che certamente sappiamo è che il parco è una realtà consolidata, che si è evoluta nel tempo e che si è affermata come un’istituzione culturale. La base ideale per esplorare la condizione degli Hosts, partendo magari da Dolores, una “principessa della Disney” che per trent’anni ha ripetuto gli stessi gesti e di cui gli autori vogliono esplorare il lato “esistenziale”.
Come funzionano la memoria e la coscienza?
Il Dr Ford crea dei nuovi movimenti, le “Reveries” basate sui ricordi, con lo scopo di rendere gli androidi più realistici, ma questo sembra essere fonte di problemi, oltre che apparentemente in contraddizione con la possibilità di cancellare più e più volte la memoria dei robot. Come si spiega? L’analogia è con le diverse stesure degli script che la Joy conserva nel suo computer: non sono utilizzati al momento dell’ultima stesura, ma si può pur sempre averne accesso.

Gli autori hanno voluto esplorare in cosa gli androidi sono simili e dissimili da noi. Gli uomini hanno una sorta di apertura all’inconscio, mentre negli Hosts il livello del conscio e dell’inconscio sono separati, creando così la premessa per una esplorazione diretta. Inoltre, ci permette di comprendere appieno quanto queste macchine siano sofisticate, controllabili e a quanti livelli gli Hosts non possono accedere.
Chi sono i buoni?
L’uomo in nero, nel film del 1973 era interpretato da Yul Brynner ed era un robot, mentre ora è un essere umano. Questo sembra rafforzare l’idea che gli eroi di questa storia siano gli androidi e i cattivi gli uomini, sposandosi perfettamente con l’idea degli autori di creare un’immediata identificazione dello spettatore con gli Hosts. Se si fosse cominciato con i gli ospiti, la visione sarebbe stata umano centrica, mentre l’intento è quello di dare uno scossone all’idea che gli Hosts non possano avere dei sentimenti e una personalità. Nessuno piange per aver eliminato dei nemici in un videogioco, semplicemente perché non associa a quei personaggi una personalità. Modificando questa prospettiva, ogni atto di violenza nei confronti degli Hosts diventa imperdonabile. Un altro effetto non meno rilevante è lo spessore che assume il Dr Ford in quanto creatore non solo del parco, ma di esseri in grado di sviluppare una coscienza: una possibilità che lo rende una figura archetipica, quasi prometeica.
Un’ultima nota va alla musica: moderna,ma suonata in uno stile adeguato al tempo della storia, anacronistica come l’ambientazione, vecchia in un mondo futuro. Anche l’uso del pianoforte è una metafora dei robot, oltre che un classico del Western.
Lascia un commento