100 litri di birra, recensione della nuova irresistibile commedia di Teemu Nikki
Con “100 litri di birra”, in uscita nei cinema italiani il 17 luglio grazie a I Wonder Pictures, il regista finlandese Teemu Nikki – già noto per il graffiante “La more è un problema dei vivi” e l’acclamato “Il cieco che non voleva vedere Titanic” – torna, sia geograficamente che artisticamente, alle sue radici nel villaggio di Sysmä. In questa sua black comedy vivace e dissacrante, Nikki mette al centro il sahti, mitica birra finlandese fatta in casa, e ne fa la linfa vitale di una storia di famiglia buffa, sordida e profondamente umana, ambientata tra campagna, rivalità, sbronze epocali e memorie irrisolte.
Due sorelle, 100 litri e un disastro annunciato
Protagoniste di questa grottesca odissea sono Taina (Pirjo Lonka) e Pirkko (Elina Knihtilä): sorelle di mezza età, disincantate e spregiudicate, un tempo talentuose produttrici di sahti, oggi bloccate tra alcolismo e incombenze familiari. Quando la loro sorella minore chiede per il proprio matrimonio una fornitura epica di 100 litri della miglior birra artigianale possibile, Taina e Pirkko superano sé stesse. Peccato che, tra un assaggio e l’altro, bevano tutto ciò che doveva essere consegnato, finendo in blackout e ritrovandosi con pochissimi giorni per rimediare al disastro. Ne seguiranno fughe rocambolesche, risate amare, faide di paese, imprevisti a raffica e una corsa contro il tempo tra debiti, segreti di famiglia e una dose di “physiological humor” ai limiti del politicamente scorretto.

Due protagoniste irresistibili, una chimica fuori dal comune
Al centro del film, la forza e la complicità fra le due protagoniste. Pirjo Lonka e Elina Knihtilä abbracciano senza riserve i lati più grotteschi e tragici dei loro personaggi, riuscendo a trasmettere sia la disperazione che il calore dell’essere parte di una comunità vivace e, per certi versi, tossica. Le loro performance, che alternano cinismo e vulnerabilità, danno vita a una dinamica di sorellanza autentica e mai banale, capace di coinvolgere e far empatizzare anche nelle situazioni più sopra le righe.
Il microcosmo di Sysmä: commedia di provincia e folklore
“100 litri di birra” è anche un ritratto corale della provincia finlandese, tra personaggi pittoreschi, codici non scritti e una quotidianità sospesa fra nostalgia e autodistruzione. Il villaggio di Sysmä vive e respira come se fosse un ulteriore protagonista, con i suoi antichi rancori, i rapporti di vicinato e la venerazione quasi religiosa per il sahti, vero oggetto del desiderio e motivo di contesa. Nikki tratteggia con affetto una comunità ai margini, ma estremamente vivace, dove il confine tra aiuto e rivalità, fra solidarietà e invidia, è sempre labile.
Sahti: tradizione liquida e identità finlandese
La birra sahti non è solo uno sfondo, ma un elemento identitario che attraversa tutta la narrazione. Nikki si sofferma spesso sulle tecniche di produzione tradizionali, introducendo lo spettatore a un mondo che pochi conoscono al di fuori dei confini finlandesi. L’esperienza della preparazione, del consumo e persino della dipendenza da questa bevanda locale rappresenta una metafora della difficoltà a emanciparsi dalle proprie radici e a sfuggire sia alle aspettative familiari sia alle dinamiche autodistruttive.
Regia e stile: tra folklore, western e slapstick
Dal punto di vista stilistico, il film miscela con intelligenza e ironia il folklore nordico con estetiche narrative che richiamano il western. Si nota già dai credits iniziali l’omaggio a certi immaginari americani (musiche, cappelli da cowboy, auto sgangherate), ma tutto è riletto in chiave rurale e finlandese, dando vita a un prodotto a suo modo unico. Il ritmo è spesso incalzante, tra sequenze degne di una heist comedy e improvvisi momenti slapstick, ma non mancano pause malinconiche che invitano a riflettere su colpa, redenzione e incapacità di cambiamento.
Umorismo nero e malinconia: il marchio Nikki
Teemu Nikki costruisce questo film sulle sue consuete corde grottesche, alternando derive slabbrate di commedia nera a momenti di malinconia e calore. Pur spingendo spesso il parossismo e il cattivo gusto fino agli estremi, “100 litri di birra” riesce, grazie a una scrittura brillante e senza giudizio morale, a sviluppare uno sguardo empatico sui limiti e le dipendenze. Le protagoniste, con la loro complicità e la capacità di suscitare nello spettatore affetto nonostante le scelte discutibili, trascinano in un’avventura tragicomica in cui la famiglia è croce e delizia, e il passato è un fantasma che aleggia tra una sbornia e l’altra.
La forza della messa in scena: fotografia, ritmo e colori
Uno dei pregi maggiori del film risiede nella cura visiva e fotografica. Nikki sceglie per la sua commedia i toni caldi dell’estate finlandese, con luci morbide e colori dorati che contribuiscono a mitigare la durezza dei temi trattati e a trasmettere un senso di autenticità. La regia, dinamica e inventiva, accompagna con leggerezza lo spettatore nelle peripezie delle protagoniste, rendendo la visione sempre vivace, nonostante qualche calo nella seconda parte del film.
Il ruolo del corpo e dei sensi: tra fisicità ed eccesso
Un aspetto distintivo dell’opera di Nikki, che qui trova un’incarnazione particolarmente viscerale, è la centralità del corpo. In “100 litri di birra” la fisicità non si traduce solo nel bere compulsivo o nelle sequenze slapstick più spinte, ma diventa metafora della fragilità emotiva delle protagoniste. Le ricadute degli eccessi – dal vomito alle sbornie, passando per le scene di diarrea che hanno già fatto discutere pubblico e critica – non sono mai puro esercizio di cattivo gusto, bensì rappresentazione concreta di come i limiti umani, fisici e psicologici si intreccino inestricabilmente nel percorso di crescita (o stallo) dei personaggi. Il corpo diventa così veicolo narrativo dell’alienazione, ma anche dell’inevitabile e disarmante bisogno di vicinanza.
Padri, madri e fantasmi: il peso del passato e l’impossibilità di cambiare
Oltre alla commedia brillante, nel film si annida una riflessione amara su ciò che resta delle famiglie e dei traumi mai risolti. La figura del padre, storico rivale nella produzione del sahti nonché complice e antagonista delle due sorelle, incarna il peso delle aspettative e delle ossessioni familiari. Non meno importante è la sorella minore, la futura sposa, che con la sua richiesta fa riaffiorare ferite mai rimarginate e obbliga Taina e Pirkko ad affrontare – a modo loro – i fantasmi di colpe pregresse. Nikki così si conferma non solo regista delle eccentricità, ma anche degli abissi che ne stanno alla base: il vero conflitto non è la perdita della birra, ma l’incapacità di superare ciò che ci lega, nel bene e nel male, alle persone più care.
Un brindisi agrodolce alla fragilità umana
“100 litri di birra” si rivela una commedia dal sapore inconfondibile, capace di mescolare risate sguaiate e una sottile malinconia, ma soprattutto di offrire uno sguardo tenero e spietato sulle dinamiche familiari e sulle nostre umane debolezze. Teemu Nikki celebra con ironia e affetto la sua terra e le sue tradizioni, ma non dimentica mai di scavare nell’intimità emotiva dei suoi personaggi. Ne esce un film che, nella sua eccentricità, riesce a parlare a chiunque abbia mai fatto i conti con le proprie dipendenze, paure o sensi di colpa, regalando un’esperienza in cui il riso e l’amarezza convivono fino all’ultima goccia. “100 litri di birra” è un brindisi agrodolce alle imperfezioni che ci rendono umani.
Cosa mi è piaciuto
- Le straordinarie interpretazioni di Elina Knihtilä e Pirjo Lonka, affiatate e credibili in ogni follia.
- L’atmosfera unica tra western nordico, commedia demenziale e malinconia rurale.
- L’omaggio antropologico alla Finlandia: il sahti, i paesaggi, il folklore locale.
- La capacità di far convivere il grottesco e l’empatia umana, senza moralismi.
- Un ritmo serrato e una narrazione visivamente coinvolgente grazie alla fotografia calda e sporca.
Cosa si sarebbe potuto fare meglio
- Alcune sottotrame (il trauma familiare, le relazioni genitori-figli) rimangono appena abbozzate, lasciando il pubblico con domande irrisolte.
- Lo stile a tratti eccessivamente episodico e sopra le righe tende a diluire la tensione emotiva.
- L’umorismo “physiological” rischia di risultare ripetitivo o gratuito per alcuni spettatori.
Verdetto finale
“100 litri di birra” è una black comedy che, pur abbracciando l’assurdo e il cattivo gusto, riesce a restituire un ritratto autentico e affettuoso della provincia finlandese e dei suoi personaggi marginali. Un film sgangherato e tenero, capace di far ridere e riflettere su quanto sia difficile – e a volte impossibile – staccarsi dai propri vizi, fantasmi e legami familiari. Da vedere, meglio se accompagnati da una buona birra artigianale!
Lascia un commento