Unicorni, una favola di integrazione che apre il cuore
Presentato come film di apertura alla 55ª edizione del Giffoni Film Festival e distribuito da Vision Distribution nelle sale italiane dal 17 luglio, “Unicorni” di Michela Andreozzi racconta con delicatezza e coraggio il percorso di una famiglia che prova a riconoscere, accogliere e sostenere l’unicità del proprio figlio. Attraverso uno sguardo tenero e profondamente umano, il film invita a riflettere sul valore della libertà di essere sé stessi e sulla necessità di integrare identità, differenze e complessità personali e familiari in una società ancora faticosamente aperta alla diversità.
Il coraggio di aprire Giffoni con una storia scomoda ma necessaria
La decisione di inaugurare l’edizione 2025 del Giffoni Film Festival con “Unicorni” non è solo una scelta artistica, ma anche profondamente simbolica. Mettere al centro della festa del cinema per ragazzi un film così delicato e urgente significa prendersi una responsabilità culturale: portare all’attenzione dei giovani spettatori – e delle loro famiglie – il tema della ricerca d’identità e del diritto alla differenza. Michela Andreozzi, affiancata da Vision Distribution, dimostra coraggio e visione, offrendo una storia che va dritta al cuore dell’attualità, toccando nodi che la nostra società spesso vorrebbe ignorare o rimandare.

Il mondo di blu: tra spazi protetti e occasioni di confronto
Protagonista di questa favola contemporanea è Blu, interpretato dal giovane Daniele Scardini con una sensibilità sorprendente. Blu ha nove anni, lunghi capelli e un amore radioso per il travestimento e la fantasia; in casa trova comprensione e libertà, ma il mondo fuori si rivela ben più arcigno. Il suo desiderio più grande – interpretare la Sirenetta alla recita scolastica – diventa il primo vero banco di prova sia per lui che per i suoi genitori. Sin dalle prime scene emerge una dolcezza palpabile, che però si specchia in una realtà fatta di occhiate, risatine e domande che pesano come macigni. Blu diventa così il simbolo di un’infanzia che chiede solo di essere ascoltata e accolta, e di una società che deve ancora imparare a farlo davvero.
Genitori sull’altalena: tra paura e amore incondizionato
Edoardo Pesce e Valentina Lodovini – rispettivamente Lucio ed Elena – incarnano le molte sfumature di chi, tra paura e amore, cerca di fare la cosa giusta per un figlio “unico”. Non si tratta solo di assecondare o meno una scelta, ma di mettere in discussione convinzioni profonde e, a tratti, inconsapevoli. Il film racconta con realismo il tentennamento, le crisi identitarie dei genitori di fronte a un figlio che rompe ogni schema atteso. La loro, come sottolinea la regista, non è un’odissea di “plasmazione” sull’identità di Blu, bensì il coraggioso tentativo di accompagnare, passo dopo passo, la sua crescita. Un processo che passa anche attraverso il confronto con altri genitori e con la figura rassicurante e ironica, ma mai invasiva, della psicologa interpretata da Michela Andreozzi stessa.
Il gruppo genitori unicorni: uno specchio della società
La scena si allarga grazie all’inserimento del gruppo di “Genitori Unicorni”, una comunità eterogenea e viva, in cui mamme e papà affrontano le stesse paure, le stesse domande, ma non sempre trovano le stesse risposte. Il lavoro di gruppo, che la regista utilizza sia come strumento narrativo che come spunto di riflessione sociale, mette in luce la ricchezza e la diversità delle reazioni e delle trasformazioni possibili. Qui il film tocca toni a tratti didascalici, ma con la consapevolezza che a volte c’è bisogno di spiegare per poter costruire ponti: le parole, i sorrisi e le paure dei genitori “unicorni” rivelano quanto sia faticoso abbandonare i pregiudizi e quanto sia importante farlo, insieme. Momenti ironici si alternano a passaggi commoventi, aprendo una pluralità di voci che restituisce un’Italia reale, in bilico tra resistenze e desiderio di accogliere il cambiamento.

Unicorni nell’attualità: specchio di un presento in cerca di futuro
Andreozzi inserisce la sua storia nella scia di opere recenti come “Il ragazzo dai pantaloni rosa” e, con accenti più netti, nel solco di una stagione cinematografica che tenta di farsi carico delle storie troppo spesso dimenticate ai margini. Il riferimento ai dibattiti politici e sociali dell’Italia di oggi, ai rimandi dei family movie americani, all’attivismo delle Famiglie Arcobaleno, pone “Unicorni” al crocevia tra favola e realtà, tra urgenza educativa e desiderio di leggerezza. Il tono, volutamente “disneyano”, amplifica l’empatia e apre la storia anche ai più giovani, pur senza abbandonare mai la complessità del tema.
I personaggi secondari: voci autentiche tra ironia e conflitti
A dare profondità e ritmo al racconto, una galleria di personaggi secondari che oscillano tra la caricatura (come il Lino Musella “maschio alfa” che sintetizza atteggiamenti ancora troppo radicati nella nostra società) e una sincerità disarmante (Paola Tiziana Cruciani, preside, e Donatella Finocchiaro, ex moglie e psicologa “in pausa”, che illuminano il cammino di Blu e dei suoi genitori di nuove prospettive). Sono questi personaggi, forse ancora più dei protagonisti, a consegnare al film un respiro corale, fatto di piccoli gesti, battute brillanti, tensioni familiari e comunitarie.
Il cuore del film: blu, adulto in miniatura in un mondo di dubbiosi
La vera forza di “Unicorni” si sprigiona proprio nel rapporto tra il piccolo protagonista e gli adulti che lo circondano. Mentre i grandi si perdono in dubbi e tentativi di protezione, Blu porta avanti con sicurezza il proprio sogno di esprimersi senza compromessi. Il suo attaccamento alla propria unicità, la sua innocenza e il desiderio di non essere racchiuso in definizioni (“Io voglio essere io”) diventano un inno alla libertà che risuona in tutto il film. Daniele Scardini sorprende per autenticità e misura, dimostrandosi non solo credibile, ma anche capace di restituire nuance emotive di rara profondità per la sua età. A tratti cerebrale, a tratti puro istinto: Blu è ogni bambino che chiede al mondo il diritto di essere accolto senza condizioni.
Un’opera imperfetta, ma umana e coraggiosa
Pur con qualche stereotipo narrativo, dialoghi a volte troppo marcati o passaggi un po’ didascalici, “Unicorni” si distingue per il coraggio con cui decide di affrontare un tema difficile, senza cedere del tutto alla tentazione della retorica. Andreozzi – anche nel modo di dirigere, con uno stile caloroso e avvolgente – abbraccia l’imperfezione, privilegiando la sincerità al virtuosismo registico. La coralità del cast, l’intelligenza dell’impianto narrativo e l’urgenza del messaggio compensano le sbavature, regalando allo spettatore una carezza più che una lezione, un viaggio emotivo più che una ricetta.
Il messaggio: l’ascolto come forma di amore e di integrazione
La magia di “Unicorni” è tutta nel suo messaggio: in un mondo che parla ancora troppo spesso per etichette e categorie, l’identità si ascolta, si accompagna, si ama. Non occorre spiegare o giustificare la diversità, basta abbracciarla con rispetto e apertura. Blu non chiede di essere compreso, chiede solo di essere lasciato libero di esprimersi. È una lezione semplice e rivoluzionaria, che il film consegna con la voce limpida di chi non ha tempo per le nostre paure adulte.
Un’integrazione che inizia dallo sguardo
Ritengo “Unicorni” una scommessa vinta: un’opera che ripone fiducia nella forza educativa del cinema e nella possibilità, anche per le storie più “fuori posto”, di trovate finalmente la loro casa. Andreozzi firma la sua opera più intensa e matura, capace di dialogare con il grande pubblico senza perdere la fiducia nella complessità. Il racconto di Blu e della sua famiglia assume così i contorni di una favola moderna – imperfetta ma sincera – che sogna, come fanno tutti i bambini, un mondo finalmente disposto ad ascoltare, accogliere e integrare ogni unicità. Un film per i bambini di oggi e, ancor più, per gli adulti che stanno ancora imparando ad ascoltare davvero.
Cosa mi è piaciuto
- L’interpretazione autentica e delicata di Daniele Scardini nei panni di Blu
- Il coraggio di raccontare la diversità e l’identità di genere in modo accessibile a tutti
- La sensibilità nel dipingere il percorso emotivo dei genitori
- I momenti di ironia che alleggeriscono, senza banalizzare, il racconto
- Il cast di contorno che arricchisce la narrazione con autenticità
Cosa si poteva fare meglio
- Evitare alcuni dialoghi troppo didascalici o esplicativi
- Costruire personaggi secondari meno stereotipati
- Dare maggiore spazio a momenti di silenzio e introspezione
- Sfruttare un linguaggio visivo più cinematografico, meno televisivo
Verdetto finale
“Unicorni” è una piccola favola coraggiosa, imperfetta ma sincera, che invita chiunque – adulti e ragazzi – a guardare con occhi più aperti alle differenze e a riscoprire il valore dell’ascolto e dell’inclusione.
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