Frankenstein, un’ode gotica all’umanità, animata dalla visione di Guillermo del Toro
Guillermo del Toro, regista visionario e maestro dell’horror gotico, creatore di opere indimenticabili come “Il labirinto del fauno” e “La forma dell’acqua”, torna a incantare il pubblico con “Frankenstein”, una rilettura intensa e personale del capolavoro di Mary Shelley. Presentato in anteprima alla prestigiosa 82a Mostra Internazionale d’Arte Cinematografica di Venezia, il film vede protagonisti Oscar Isaac e Jacob Elordi, rispettivamente nei ruoli di Victor Frankenstein e della creatura.
Isaac, attore di straordinaria versatilità, noto per la sua capacità di incarnare personaggi complessi e tormentati in film come “A proposito di Davis” e “Ex Machina”, offre una performance intensa e sfaccettata nei panni del brillante e ambizioso scienziato. Elordi, giovane talento in rapida ascesa grazie al successo di serie come “Euphoria”, sorprende per la sua interpretazione sensibile e toccante della creatura, un essere mostruoso nell’aspetto ma profondamente umano nel suo desiderio di amore e accettazione.

Un’epica “Bromance” tra scienza e mostro: un legame oltre la vita e la morte
Del Toro reinventa la storia di Frankenstein come un’epica “bromance” tra lo scienziato e la sua creatura, un legame complesso e intenso che trascende i confini della vita e della morte. Entrambi i personaggi sono caratterizzati da un marcato accento britannico, che conferisce loro un’aura di raffinatezza e decadenza. Lo stile visivo del film è inconfondibilmente deltoriano: una serie di immagini elaborate e affascinanti, ricche di dettagli d’epoca finemente realizzati, che creano un’atmosfera cupa e suggestiva.
La fotografia di Dan Laustsen, collaboratore abituale del regista, gioca con le ombre e le luci per esaltare la bellezza macabra delle scenografie di Tamara Deverell e dei costumi di Kate Hawley, che contribuiscono a immergere lo spettatore nel mondo gotico e decadente del XIX secolo. La colonna sonora di Alexandre Desplat, maestosa e commovente, amplifica le emozioni e sottolinea i momenti chiave della narrazione, creando un’esperienza cinematografica coinvolgente e memorabile.
Isaac e Elordi: un duetto di performance memorabili che scava nell’anima
Le interpretazioni di Oscar Isaac e Jacob Elordi sono il cuore pulsante del film, un duetto di performance memorabili che scava nell’anima dei personaggi e ne rivela le fragilità e le contraddizioni. Isaac offre un ritratto intenso e sfaccettato di Victor Frankenstein, un uomo tormentato dalla sua ambizione e dal peso delle sue azioni. La sua interpretazione è ricca di sfumature, che vanno dall’arroganza e dalla sicurezza di sé alla disperazione e al rimorso. Elordi, invece, sorprende per la sua capacità di esprimere la vulnerabilità e la sete di conoscenza della creatura, rendendola una figura complessa e profondamente umana.
Il suo linguaggio del corpo, la sua espressività e la sua voce trasmettono la sofferenza e la solitudine di un essere rifiutato dal suo creatore e dal mondo intero. Mia Goth, nel ruolo di Elizabeth, la promessa sposa del fratello di Victor, illumina lo schermo con la sua presenza eterea e il suo spirito indipendente, offrendo un’interpretazione delicata e intensa di una donna intrappolata in una società che non le appartiene. Christoph Waltz, nei panni del misterioso Heinrich Harlander, aggiunge un tocco di ambiguità e oscurità alla vicenda, offrendo un’interpretazione sottile e inquietante di un uomo che sembra nascondere segreti inconfessabili.
La regia di del Toro: un maestro dell’atmosfera che celebra l’artigianato cinematografico
La regia di Guillermo del Toro è un vero e proprio trionfo di stile e sostanza. Il regista messicano dimostra ancora una volta la sua maestria nel creare atmosfere cupe e suggestive, che avvolgono lo spettatore in un mondo gotico e decadente. La sua attenzione ai dettagli, la sua cura per l’immagine e la sua capacità di dirigere gli attori sono evidenti in ogni scena del film. Del Toro, inoltre, celebra l’artigianato cinematografico, privilegiando le scenografie reali, i costumi elaborati e gli effetti speciali pratici rispetto alla CGI, creando un’esperienza visiva autentica e coinvolgente.
Un racconto di empatia e redenzione
Nonostante alcune lungaggini e un ritmo a tratti lento, Del Toro riesce a dare nuova linfa vitale alla storia di Frankenstein grazie a un’intelligente svolta narrativa: il passaggio al punto di vista della creatura, che diventa narratore delle proprie esperienze dopo la fuga dal laboratorio. Questa scelta permette allo spettatore di empatizzare con il mostro e di comprenderne la profonda solitudine e il desiderio di essere accettato, trasformando il racconto in una potente riflessione sull’importanza dell’empatia e della compassione.
Qual è il vero mostro? Un interrogativo sospeso tra scienza e coscienza
Nel finale, come spesso accade nelle rivisitazioni di Frankenstein, si pone la domanda cruciale: chi è il vero mostro? In questa versione, Del Toro sembra suggerire che nessuno dei due protagonisti incarna completamente la mostruosità, ma che entrambi sono vittime delle circostanze e delle proprie debolezze. Victor, accecato dalla sua ambizione e dal desiderio di superare i limiti della scienza, crea una creatura senza pensare alle conseguenze delle sue azioni, mentre la creatura, abbandonata e rifiutata dalla società, si trasforma in un essere vendicativo e disperato, incapace di trovare il suo posto nel mondo. Il film, quindi, solleva un interrogativo complesso e attuale sulla responsabilità della scienza e sull’importanza di una coscienza etica che guidi le nostre azioni.
La visione di del toro: un’ode all’umanità attraverso gli occhi di un mostro
Guillermo del Toro, attraverso la sua regia visionaria e la sua profonda sensibilità, trasforma la storia di Frankenstein in un’ode all’umanità, raccontata attraverso gli occhi di un mostro. Il regista messicano ci invita a riflettere sulla nostra natura, sulle nostre fragilità e sulle nostre paure, e ci ricorda che anche il mostro più spaventoso può nascondere un’anima fragile e bisognosa di amore.
Un’opera romantica e tragica
“Frankenstein” di Guillermo del Toro è un’opera visivamente sontuosa e ricca di emozioni, che esplora i temi universali dell’amore, della perdita, della solitudine e della ricerca di identità. Pur non raggiungendo la perfezione di alcuni dei suoi lavori precedenti, il film rappresenta un’interessante e originale rivisitazione del classico di Mary Shelley, che saprà affascinare gli amanti del cinema gotico e fantastico.
Cosa mi è piaciuto:
- Le interpretazioni intense e commoventi di Oscar Isaac e Jacob Elordi.
- Lo stile visivo inconfondibile di Guillermo del Toro, ricco di dettagli e suggestioni gotiche.
- La colonna sonora di Alexandre Desplat, che amplifica le emozioni e sottolinea i momenti chiave della narrazione.
- La svolta narrativa che permette allo spettatore di empatizzare con la creatura.
- La riflessione sulla natura della mostruosità e sulla responsabilità della scienza.
Cosa si sarebbe potuto fare meglio:
- Snellire la narrazione e accelerare il ritmo in alcuni punti.
- Approfondire il personaggio di Elizabeth e il suo rapporto con Victor e la creatura.
- Osare di più nell’esplorazione dei temi più oscuri e inquietanti del romanzo di Mary Shelley.
Verdetto finale
Un’esperienza cinematografica visivamente sbalorditiva ed emotivamente risonante, che eleva la storia di Frankenstein a nuove vette di pathos e bellezza. Al di là della superficie gotica e degli elementi horror, il film è un’ode alla fragilità umana e alla ricerca di connessione, un invito a guardare oltre le apparenze e a riconoscere l’umanità anche nel mostro. “Frankenstein” è un’opera che rimane impressa nella memoria, un’esplorazione profonda e toccante dei temi eterni che da secoli affascinano e commuovono il pubblico.
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