The End, intervista a Joshua Oppenheimer
In occasione dell’uscita in Italia di The End, il primo film di finzione di Joshua Oppenheimer, I Wonder Pictures ha organizzato un evento unico nel suo genere che ci ha permesso di incontrare il protagonista George MacKay (The Beast, Captain Fantastic) e il regista Oppenheimer.
The End – dal 3 luglio al cinema – narra la storia di una famiglia facoltosa costretta a vivere in un lussuoso bunker sotterraneo all’indomani di un’apocalisse ambientale. Dopo decenni di solitudine, il gruppo entra in contatto con una ragazza sconosciuta che proviene dal mondo esterno. Questo inatteso avvenimento stravolge la routine della famiglia e diventa il punto di partenza per esplorare le profondità più inquietanti dell’animo umano, in linea con la cifra stilistica dei precedenti lavori del regista.
A fare da suggestiva location a una storia corale e intensa, troviamo le affascinanti caverne della Miniera di salgemma situate a Petralia Soprana, in Sicilia e precisamente nella frazione di Raffo. Un antro imponente e maestoso, fatto di cunicoli e grotte tra le più grandi d’Europa, che ha ospitato per settimane le riprese del film e il set del bunker in cui vivono i protagonisti.

Per Oppenheimer si tratta del suo primo film di finzione dopo il documentario The Act of Killing. “Sono sempre stato attratto dai musical perché sono la quinta essenza della negazione. I musical usano le canzoni non per cantare la verità più profonda, ma per mentire a se stessi”. Il modo migliore per rappresentare questa famiglia in un bunker in un mondo post-apocalittico dopo 25 anni è proprio il musical. Una realtà che ha riplasmato la propria esistenza, negando quello che è accaduto al di fuori di quella caverna. Ridipingendo una tela fittizia e perfetta della loro vita falsificata da una patina che nasconde loro la realtà. Andando avanti e non pensare alle persone lasciate indietro. “Dovevamo fare una scelta”.
Oppenheimer ha scritto anche i testi delle canzoni e curato la colonna sonora con il compositore Josh Smith. “É stata una delle esperienze più belle mai fatte ma anche spaventose. Questo perché la prima volta che il compositore mi ha detto di scrivere i testi, mi ha detto che ogni tanto dovevo fare le rime”. Per il regista questo progetto iniziava ad essere troppo grande e spaventoso per lui e ha pensato più volte di mollare. Con il tempo ha preso consapevolezza del potere delle parole. E con l’aiuto e il supporto di suo marito ha iniziato a sperimentare la composizione in rima.
Trovi l’intervista completa ad inizio articolo.
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