La Grazia, Sorrentino e Servillo illuminano la politica con “Grazia Divina”
Paolo Sorrentino, regista acclamato per opere come “La Grande Bellezza” e “Il Divo”, torna a esplorare le dinamiche del potere con il film “La Grazia”. In anteprima alla 82a Mostra Internazionale d’Arte Cinematografica di Venezia, Sorrentino si avvale ancora una volta del talento di Toni Servillo, suo attore feticcio, per incarnare Mariano De Santis, un Presidente della Repubblica italiano fittizio alle prese con dilemmi morali e politici complessi. Insieme, creano un’opera che invita alla riflessione sulla leadership, l’etica e il peso delle decisioni che plasmano una nazione.

Il testamento morale di un presidente
Mariano De Santis, interpretato magistralmente da Servillo, è un uomo di legge, soprannominato “Cemento Armato” per la sua rigorosa aderenza alla Costituzione. Alle prese con gli ultimi mesi del suo mandato, De Santis si trova di fronte a scelte cruciali: la firma di una legge sull’eutanasia, fortemente voluta dalla figlia Dorotea, e la concessione della grazia a due detenuti. Ma il Presidente è un uomo tormentato, ancora legato al ricordo della moglie defunta e ossessionato da un vecchio tradimento. Questa fragilità umana, abilmente celata dietro una facciata di stoicismo, rende il personaggio di De Santis profondamente umano e coinvolgente, un’anima complessa che Servillo cesella con una recitazione fatta di silenzi eloquenti e sguardi penetranti.
Chi possiede i nostri giorni?
Il cuore del film risiede nei dilemmi morali che De Santis si trova ad affrontare. La legge sull’eutanasia solleva interrogativi profondi sul diritto alla vita e alla morte, sulla libertà individuale e sulla responsabilità collettiva. La domanda che il Presidente si pone, “A chi appartengono i nostri giorni?”, risuona come un interrogativo universale, che tocca le corde più intime dell’esistenza umana, una riflessione che va oltre la mera questione politica, abbracciando la condizione umana nella sua interezza. Le richieste di grazia, con le loro zone grigie e le sfumature di umanità, complicano ulteriormente il quadro, mettendo in discussione il concetto stesso di giustizia e perdono, invitando lo spettatore a interrogarsi sui limiti della legge e sulla necessità di un’umanità compassionevole.
Un equilibrio tra sfarzo e intimità
Sorrentino non rinuncia al suo stile inconfondibile, fatto di immagini potenti, movimenti di macchina sinuosi e una colonna sonora che spazia dalla musica classica all’elettronica. Tuttavia, in “La Grazia” il regista sembra voler trovare un nuovo equilibrio tra sfarzo e intimità, tra la grandiosità della politica e la fragilità dell’animo umano. Le sequenze oniriche e i momenti di pura visionarietà si alternano a scene più sobrie e dialoghi intensi, creando un’atmosfera sospesa tra sogno e realtà, un’estetica che amplifica il senso di smarrimento e la ricerca di significato del protagonista.
Non solo Servillo
Se Servillo è il fulcro narrativo, il resto del cast non è da meno. Anna Ferzetti, nei panni della figlia Dorotea, offre un’interpretazione intensa e commovente, incarnando la nuova generazione che spinge per il cambiamento. Milvia Marigliano, nel ruolo dell’amica Coco, regala momenti di leggerezza e ironia, stemperando la drammaticità del racconto con la sua verve inconfondibile. Orlando Cinque, Massimo Venturiello e gli altri attori di supporto contribuiscono a creare un affresco corale di personaggi credibili e ben delineati, arricchendo la narrazione con le loro sfumature.
Un Papa sui generis e l’incursione del rap
Un elemento di originalità è rappresentato dalla figura del Papa, interpretato da Rufin Doh Zeyenouin, un uomo di colore con lunghi dreadlocks bianchi che dispensa consigli al Presidente con un linguaggio diretto e senza fronzoli. L’incursione del rap, con la presenza del rapper Guè, aggiunge un tocco di contemporaneità e di realismo, sottolineando il legame tra il potere politico e la cultura popolare. Questi elementi, apparentemente dissonanti, si integrano armoniosamente nel tessuto narrativo, confermando la capacità di Sorrentino di sorprendere e di sperimentare.
La grazia è la bellezza del dubbio
Il finale del film lascia allo spettatore la libertà di interpretare le scelte di De Santis. Il Presidente firma la legge sull’eutanasia, ma non per convinzione ideologica, bensì per fiducia nella nuova generazione, rappresentata dalla figlia Dorotea. Concede la grazia ad alcuni detenuti, ma non senza tormenti e dubbi. “La grazia è la bellezza del dubbio”, afferma De Santis in una delle sue ultime riflessioni, sottolineando l’importanza di non avere certezze assolute e di rimanere aperti al confronto e alla comprensione. La fine segna una vittoria o una sconfitta? Il dubbio è parte integrante della vita e, di conseguenza, del processo decisionale.
Un testamento politico ed umano
“La Grazia” è un film complesso e stratificato, che affronta temi importanti con profondità e sensibilità. Sorrentino ci regala un ritratto inedito di un uomo politico, non un eroe né un antieroe, ma un essere umano con le sue fragilità, le sue contraddizioni e le sue aspirazioni. Un uomo che, nel crepuscolo del suo mandato, cerca di lasciare un segno di grazia in un mondo sempre più cinico e disincantato. Un’opera che si interroga sul significato della leadership e sulla responsabilità di chi detiene il potere, senza offrire facili risposte, ma invitando lo spettatore a una riflessione personale e profonda.
Cosa mi è piaciuto:
- L’interpretazione magistrale di Toni Servillo dona al personaggio di De Santis una profondità emotiva straordinaria.
- La regia elegante e raffinata di Paolo Sorrentino, che crea un’atmosfera
- sospesa tra sogno e realtà.
La sceneggiatura è intelligente e ricca di spunti di riflessione, che affronta temi complessi con profondità e sensibilità. - La colonna sonora è suggestiva, che accompagna le immagini e amplifica le emozioni.
- La capacità del film di suscitare interrogativi profondi sull’etica, la politica e il senso della vita.
- La presenza del papa sui generis e l’introduzione del rap.
Cosa si sarebbe potuto fare meglio:
Dare suggerimenti a Sorrentino sarebbe quantomeno presuntuoso, considerando la sua maestria e la sua capacità di creare opere così raffinate e profonde. La Grazia è un film che si lascia semplicemente godere, un viaggio meditativo e delicato tra temi universali, e ogni scelta stilistica e narrativa contribuisce a rendere questa esperienza unica. Piuttosto che cercare difetti, è più giusto apprezzarlo per quello che è: un appuntamento imperdibile con la poesia cinematografica, che invita a entrare nel mondo di un uomo e di un’epoca con rispetto e sensibilità.
Verdetto finale: un’opera destinata a lasciare il segno
“La Grazia” si afferma come uno dei lavori più significativi di Sorrentino degli ultimi anni, un raffinato esercizio di introspezione e di analisi morale che unisce la sobrietà stilistica a profondi spunti di riflessione. La valorizzazione di Toni Servillo, la cura nel dettaglio e la profondità dei temi trattati lo collocano tra i candidati più seri ad avere chances agli Oscar, dove potrebbe essere riconosciuto come miglior film internazionale e per le sue interpretazioni. Un film che non si limita a rappresentare una figura di potere, ma si interroga sul senso della grazia come atto di comprensione e compassione, lasciando lo spettatore con più domande che risposte, ma con la consapevolezza di aver assistito a un’opera di grande maturità artistica e umana. Un vero e proprio capolavoro low-profile, ma destinato a far parlare di sé a lungo.
In sintesi: un’opera da vedere assolutamente, capace di unire visione estetica, profondità morale e grande emozione.
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