Mortician, la recensione del film Abdolreza Kahani
Abdolreza Kahani, regista iraniano noto per la sua capacità di affrontare temi sociali e politici con uno stile unico e spesso provocatorio, ci consegna con “Mortician” un’opera intensa e riflessiva. Il film, impreziosito dalle interpretazioni sentite e potenti di Golazin Ardestani (Gola) e Nima Sadr, non è solo un racconto di esilio e perdita, ma una profonda esplorazione della resilienza umana e della lotta per la libertà. Presentato in anteprima alla 78a edizione dell’Edinburgh International Film Festival, dove ha conquistato il prestigioso Premio Sean Connery per l’eccellenza nella realizzazione cinematografica, “Mortician” si distingue per la sua capacità di toccare le corde più profonde dell’anima, lasciando nello spettatore un’eco di emozioni difficili da dimenticare. Kahani ci invita a confrontarci con la realtà di chi vive lontano dalla propria terra, perseguitato e costretto a fare i conti con un passato che non smette di tormentare. Questo riconoscimento, votato dal pubblico e supportato dalla Connery Foundation, sottolinea l’impatto emotivo e l’importanza del film nel panorama cinematografico contemporaneo.
Un palcoscenico innevato per una sofferenza silenziosa
Le immagini cupe e desolate di Montreal, con la sua neve perenne e il cielo grigio, fanno da sfondo alla vita di Mojtaba (Nima Sadr), un espatriato iraniano che lavora come lavatore di cadaveri, seguendo i rituali islamici. La sua esistenza è segnata dalla solitudine e dalla malinconia, un susseguirsi di gesti ripetitivi che sembrano anestetizzare il dolore di un esilio forzato. Mojtaba è un uomo silenzioso, schiacciato dal peso delle responsabilità familiari e dalla consapevolezza di non poter fare ritorno a casa. Nima Sadr riesce a trasmettere con grande intensità il suo tormento interiore, la sua rassegnazione di fronte a un destino che sembra ineluttabile. Il suo volto esprime la fatica di una vita trascorsa a galleggiare in un limbo esistenziale, senza radici e senza speranza.
Jana: un infuocato requiem di sfida
L’incontro con Jana (Golazin Ardestani), una cantante dissidente che vive nascosta per sfuggire alla repressione del regime iraniano, è la scintilla che riaccende una flebile fiamma nel cuore di Mojtaba. Jana è una donna forte e coraggiosa, che ha fatto della sua arte un’arma per denunciare le ingiustizie e difendere i diritti umani. Le sue canzoni sono un grido di ribellione contro l’oppressione, un invito alla resistenza e alla speranza. Golazin Ardestani, con la sua voce potente e la sua presenza scenica magnetica, incarna perfettamente lo spirito indomito di Jana, la sua determinazione a non arrendersi di fronte alle avversità. La sua richiesta a Mojtaba è sconvolgente: preparare il suo corpo dopo il suicidio, un gesto estremo per attirare l’attenzione del mondo sulla situazione in Iran.
La paranoia come seconda pelle
Kahani costruisce un’atmosfera di tensione palpabile, dove la paura e il sospetto sono sempre in agguato. I personaggi si muovono in un labirinto di ombre e segreti, consapevoli di essere costantemente sorvegliati e spiati. La paranoia diventa una compagna inseparabile, un filtro attraverso cui percepire la realtà. Le finestre appannate, i riflessi distorti e le inquadrature angoscianti contribuiscono a creare un senso di claustrofobia e oppressione, rendendo lo spettatore partecipe del disagio e dell’angoscia dei protagonisti. La regia di Kahani è precisa e attenta ai dettagli, capace di comunicare con poche immagini un universo di emozioni complesse e contrastanti.
Un legame forgiato nelle paure condivise
Nonostante le loro differenze, Mojtaba e Jana trovano un terreno comune nel dolore dell’esilio e nella consapevolezza di essere perseguitati per le proprie idee. Si crea tra loro un legame fragile e intenso, fatto di sguardi, silenzi e gesti di reciproco sostegno. Mojtaba, inizialmente restio ad accettare la decisione di Jana, si lascia coinvolgere dalla sua energia e dalla sua passione, riscoprendo un senso di umanità che sembrava sopito. Jana, a sua volta, trova in Mojtaba un confidente e un amico, un’anima affine con cui condividere le proprie paure e le proprie speranze. La loro relazione è il cuore pulsante del film, un esempio di come la solidarietà e la compassione possano nascere anche nelle situazioni più estreme.
Il cinema guerriglia come atto di ribellione
La scelta di girare “Mortician” con un semplice iPhone non è solo una questione di budget, ma una precisa scelta artistica e politica. Kahani dimostra che si può fare cinema di qualità anche con mezzi limitati, che la creatività e l’ingegno possono sopperire alla mancanza di risorse. Il film diventa così un manifesto del cinema indipendente, un’affermazione della libertà espressiva e della capacità di raccontare storie importanti anche al di fuori dei circuiti tradizionali. L’estetica lo-fi, con le sue imperfezioni e il suo realismo crudo, conferisce al film un’autenticità e una forza comunicativa ancora maggiore.
Un finale scioccante e una rivelazione cruda
Il finale di “Mortician” è un pugno nello stomaco, un brusco risveglio di fronte alla brutalità della realtà. Kahani non ci risparmia nulla, mostrandoci senza filtri le conseguenze della repressione e della violenza. La scelta di rinunciare ai titoli di coda per presentare un manifesto scritto è un ulteriore atto di sfida, un modo per coinvolgere direttamente lo spettatore e invitarlo a riflettere sulla situazione in Iran e sulla responsabilità di ognuno di noi di fronte alle ingiustizie del mondo. “Mortician” è un film che non lascia indifferenti, che scuote le coscienze e invita all’azione.
La bellezza del cinema che sa scuotere le anime
“Mortician” è un’opera intensa e commovente, un film che parla di esilio, perdita, resilienza e speranza. Abdolreza Kahani, con la sua regia sensibile e la sua capacità di raccontare storie universali attraverso uno sguardo locale, ci regala un’esperienza cinematografica indimenticabile. Le interpretazioni di Golazin Ardestani e Nima Sadr sono straordinarie, capaci di trasmettere con grande intensità le emozioni e i tormenti dei loro personaggi. “Mortician” è un film necessario, che ci invita a non dimenticare chi soffre e a non rinunciare mai alla lotta per la libertà e la giustizia.
Cosa mi è piaciuto:
- La profondità emotiva delle interpretazioni di Nima Sadr e Golazin Ardestani (Gola), capaci di trasmettere il dolore e la resilienza dei loro personaggi.
- La regia intensa e sensibile di Abdolreza Kahani, che crea un’atmosfera di tensione palpabile e ci coinvolge emotivamente nella storia.
- L’esplorazione coraggiosa dei temi politici e sociali ci invita a riflettere sulla situazione in Iran e sulla responsabilità di ognuno di noi di fronte alle ingiustizie del mondo.
- L’uso dell’estetica lo-fi per creare un senso di realismo e autenticità, rendendo il film ancora più coinvolgente.
- Il finale scioccante e il manifesto di sfida, che ci invitano all’azione e ci ricordano l’importanza di non rinunciare mai alla lotta per la libertà e la giustizia.
Cosa si sarebbe potuto fare meglio:
“Mortician” è un film talmente completo e potente che parlare di “cosa si sarebbe potuto fare meglio” sembra quasi irriverente. Ogni elemento, dalla regia alle interpretazioni, dalla fotografia alla sceneggiatura, si fonde in un’armonia perfetta, creando un’esperienza cinematografica indimenticabile. L’unica cosa che si potrebbe desiderare è che film come questo raggiungano un pubblico sempre più vasto, per sensibilizzare e stimolare una riflessione profonda sui temi che affrontano.
Verdetto finale:
“Mortician” è un film da vedere assolutamente, un’opera che scuote le coscienze e ci invita a non dimenticare chi soffre e a non rinunciare mai alla lotta per la libertà e la giustizia. Un’esperienza cinematografica intensa e commovente, che rimarrà impressa nella memoria a lungo dopo i titoli di coda.
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