The End, un musical post-apocalittico tra bunker, arte e negazione
Con The End, Joshua Oppenheimer firma la sua prima opera di finzione, offrendo una visione disturbante e plausibile di un futuro prossimo segnato dalla distruzione del pianeta per mano dell’uomo. Ambientato all’interno di un bunker sotterraneo ricavato nelle miniere di sale di Petralia, il film mette in scena una famiglia benestante che, dopo aver contribuito al collasso del mondo esterno, si rifugia in un microcosmo artificiale e dorato. Per farlo, ha saccheggiato opere d’arte, beni di lusso e oggetti iconici della civiltà per creare un museo privato del proprio potere e del proprio ego, dove godere in eterno della bellezza che ha distrutto.
Distribuito da I Wonder Pictures e Unipol Biografilm Collection, The End uscirà nei cinema italiani dal 3 luglio 2025. Prima del debutto nelle sale, il film è stato presentato in anteprima nazionale a Biografilm Festival 2025, in programma a Bologna dal 6 al 16 giugno. Ma non solo perché il 5 giugno, siamo stati a un’anteprima super esclusiva organizzata dentro le Miniere di Sale di Petralia dove è stato girato il film. Per l’occasione abbiamo incontrato e intervista George MacKay e Joshua Oppenheimer.

The End, recensione
Il mondo fuori brucia per l’eccessiva avidità legata al petrolio e allo sfruttamento delle risorse. Ma dentro al bunker tutto è perfettamente controllato: dolci raffinati, quadri di inestimabile valore, cibo selezionato e routine costruite su un equilibrio fittizio. Un equilibrio che si incrina quando una ragazza proveniente dall’esterno riesce a entrare nella miniera, gettando nel panico i suoi abitanti. Il suo arrivo costringe i personaggi a confrontarsi con ciò che hanno voluto dimenticare: i loro sensi di colpa, i legami spezzati, le scelte fatte per sopravvivere a scapito degli altri.
I personaggi non hanno nomi: Padre, Madre, Figlio, Ragazza, Maggiordomo. Figure archetipiche, volutamente generiche, che rappresentano simboli più che individui. Ognuno di loro nasconde un passato turbolento agli altri membri della “famiglia allargata” del bunker. Le canzoni — parte integrante della struttura narrativa — diventano il canale più autentico per esprimere ciò che non si può dire a parole: bugie, emozioni represse, desideri nascosti. Il film alterna dialoghi tesi e numeri musicali che si sviluppano tra i tunnel della miniera in un crescendo emotivo.
In questo scenario asettico e opulento, il film si trasforma in un musical teatrale e visionario, in cui i personaggi non hanno nomi. Le canzoni e le coreografie, spesso ambientate tra i tunnel della miniera, rappresentano il linguaggio delle emozioni represse, dei conflitti interiori e delle verità taciute. Con un impronta teatrale che richiama la pièce in studio di posa, The End è un musical distopico che non somiglia a nulla di già visto. Tra coreografie collettive e assoli di danza in solitudine, si mette in scena il conflitto interiore di un’umanità che ha scelto di chiudere gli occhi sulla propria responsabilità. I riferimenti iconici non mancano: il comportamento della famiglia rievoca la prima classe del Titanic, intenta a negare la tragedia mentre osservano i passeggeri di terza classe morire.
George MacKay, un talento che merita molta più visibilità
George MacKay (The Beast) è semplicemente straordinario nel ruolo del Figlio. L’attore britannico interpreta un giovane cresciuto in un mondo chiuso, modellato da genitori ossessionati dal controllo e dal mantenimento delle apparenze. Come in Captain Fantastic, dove imparava a sopravvivere nei boschi sotto la guida di Viggo Mortensen, qui affronta un percorso inverso: non la libertà estrema, ma la prigionia dorata di una realtà manipolata.
MacKay dimostra la sua ennesima prova attoriale magistrale. Si tratta del suo terzo musical, totalmente diverso dai suoi lavori precedenti. Una personalità gentile, umile posata in totale stile british. A crescerlo, in The End, sono Tilda Swinton e Michael Shannon, figure genitoriali rigide e complesse, che hanno instillato in lui valori distorti, scelte dettate dalla paura e dalla superiorità sociale. L’arrivo della ragazza rappresenta per lui una rivelazione emotiva: scopre nuovi sentimenti, ricordi sepolti, e inizia a mettere in discussione l’intero sistema di credenze su cui è stato costruito il suo mondo. Lo stesso vale anche per Padre e Madre che ricordano il loro amore come è stato alle origini del primo incontro.

La colonna sonora di The End, tra temi e lyrics potenti
Uno degli elementi più impattanti del film è senza dubbio la colonna sonora, scritta da Joshua Schmidt. Pensata come asse portante dell’intera narrazione. The End è un musical nel senso più autentico: le canzoni non sono semplici intermezzi, ma veri strumenti di racconto emotivo e simbolico. I testi, scritti dallo stesso Oppenheimer, amplificano i temi centrali del film. Dalla solitudine alla connessione con la natura, dalla negazione della realtà esterna fino e rievocazione di ricordi sepolti nel tempo. La paura di affrontare una distruzione che sta letteralmente bruciando il mondo per come si era conosciuto.
In particolare, il rapporto tra il Figlio e la Ragazza diventa il motore emotivo del racconto. Per lui, cresciuto nel bunker e mai esposto ad affetti reali, si tratta della prima esperienza di sentimenti autentici. Un legame che lo scuote profondamente e lo trasforma, fino al punto di percepire che sia stata proprio la Ragazza a “distruggere” la sua famiglia. Ma in verità, è lei ad avergli aperto gli occhi su un passato che gli era sempre stato raccontato in modo distorto, manipolato. La realtà, finalmente, torna a fare luce nel bunker.
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