Di Giulia Di Gregorio
The Traitors Italia, i veri traditori? I nostri stessi bias
Se volete divertirvi e imparare molto su dinamiche sociali, i meccanismi mentali e i bias cognitivi, non dovete perdervi The Traitors Italia, uscito il 30 ottobre su Prime Video, condotto da Alessia Marcuzzi e articolato in 6 episodi da circa un’ora l’uno.
I partecipanti della prima stagione sono: Alessandro Orrei (attore), Aurora Ramazzotti (conduttrice e influencer), Daniele Resconi (food blogger e personal trainer), Filippo Bisciglia (conduttore TV), Giancarlo Commare (attore), Giuseppe Giofrè (ballerino), Mariasole Pollio (conduttrice e creator), Michela Andreozzi (attrice e regista), Paola Barale (conduttrice e showgirl), Pierluca Mariti (creator), Rocco Tanica (musicista e comico), Tess Masazza (creator e attrice comica), Yoko Yamada (attrice comica).
Tutti loro ci insegneranno qualcosa sui nostri bias cognitivi. Nessun essere umano è privo di bias, quindi è un tema che dovrebbe interessarci tutti.

Bias cognitivi
I bias sono meccanismi inconsci che agiscono da scorciatoie mentali e ci aiutano a semplificare il processo decisionale quando ci troviamo ad affrontare complessità e incertezza.
Secondo Daniel Kahneman, psicologo vincitore del Premio Nobel per l’Economia nel 2002, la maggior parte delle decisioni umane non si basa su un’analisi oggettiva dei fatti, ma su preconcetti, credenze e intuizioni. Questi meccanismi trovano spazio in tantissimi ambiti e contesti della nostra vita: dalle amicizie, alle relazioni professionali, alle scelte finanziarie.
Da utili scorciatoie mentali per decidere in fretta, i bias possono cristallizzarsi in schemi attraverso cui interpretiamo la realtà, senza nemmeno accorgerci.
Questi meccanismi sono molto evidenti in The Traitors Italia: noi spettatori conosciamo la verità, sappiamo chi sono Traditori e Leali. I Leali ci sembrano ingenui, illogici, ma in realtà sono vittime di bias cognitivi. ogni conversazione diventa un campo minato psicologico, ogni sguardo un potenziale indizio, ogni silenzio un sospetto. Per i Leali ogni decisione è un duello costante contro i condizionamenti mentali.
The Traitors ci mostra come spesso crediamo che chi parla bene stia dicendo la verità, chi sta in silenzio abbia qualcosa da nascondere e chi appare spontaneo ed emotivo non possa essere manipolatore. Che confondiamo carisma con affidabilità. Che attribuiamo al silenzio paura e sospetto.
Traditori e Leali
Nel programma, come nella vita reale, le persone più penalizzate sono quelle introverse, silenziose, goffe e soggette a gaffe se sotto stress. Di contro, i più premiati sono le persone che parlano bene, rimangono lucide in situazioni di stress, sono coerenti e armoniose all’interno del gruppo. Per esempio, la mente umana associa la coerenza comportamentale all’onestà e al contrario il silenzio come omertà.
I bias non si possono eliminare, ma possiamo imparare a conviverci. La chiave sta nel prendere decisioni basate su evidenze e dati, non sulle apparenze. Significa andare oltre le prime impressioni, accettare la complessità e porsi una domanda in più prima di riporre la nostra fiducia in qualcuno: “Chi trae vantaggio da questa situazione?” oppure “Chi sta realmente guidando questa decisione?”. Per chi ha già visto il programma per intero, di seguito analizziamo alcune decisioni e i bias cognitivi che (forse) le hanno influenzate.
ATTENZIONE: quello che segue contiene spoiler sulla prima stagione di The Traitors – Italia.
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Il pregiudizio e il comportamento non verbale
I Leali vengono eliminati uno a uno più per la loro postura sociale che per reali indizi di colpevolezza. Il gruppo interpreta la calma come omertà e il silenzio come sospetto. Rimanere in disparte ed evitare lo sguardo degli altri basta per trasformare una persona in un sospettato. Queste eliminazioni ci insegnano come possa essere dannoso il pregiudizio legato al comportamento non verbale.
La mente umana tende ad associare sicurezza verbale e fluidità nel parlare con l’onestà, mentre interpreta esitazioni, gaffe o risposte impacciate come segnali di colpevolezza. Quando siamo sotto pressione, chi appare più lucido viene ritenuto più credibile. Questo meccanismo diventa evidente durante le round table, il momento del programma in cui il gruppo vota chi bandire dal Castello. Molti sopravvivono perché risponderanno con sicurezza. Altri vengono penalizzati perché titubanti e per aver detto la frase sbagliata al momento sbagliato. Indipendentemente dai fatti e dalla logica, che suggerirebbe l’eliminazione di altre figure.
Nei casi in cui i primi sospettati, scelti più per tratti caratteriali che per indizi reali, riescono comunque a sopravvivere, rimane comunque attivo il bias della prima impressione. Anche di fronte a indizi palesi e indicazioni sempre più chiare su chi fossero i Traditori, molti Leali continuano ad affidarsi all’idea iniziale che si erano fatti. La prima impressione finisce così per prevalere sui dati, sulle evidenze e sulla logica.

Ma l’errore più grande dei Leali avviene nel gran finale e ci mette in guardia sul groupthink. Il gioco si conclude quando i superstiti nel castello decretano che non ci siano più traditori nel gruppo. È lo step finale in cui si gioca il destino dell’intero montepremi. Basta infatti che resti in gioco anche un solo Traditore perché il premio vada interamente a lui/lei. Stremati emotivamente, i Leali hanno ceduto alla tentazione di mantenere l’armonia di gruppo coeso, preferendo la pace alla verifica. Nonostante la logica imporrebbe che, anche solo un minimo dubbio, andasse seguito fino in fondo per massimizzare le probabilità di un esito positivo.
Anche chi arriverà in finale e soprattutto chi vincerà, oltre al merito di una giocata in maniera eccellente, sarà anche favorito da alcuni bias cognitivi. Il primo bias è quello del carisma, per cui le persone tendono a credere di più a chi appare sicuro di sé e socialmente piacevole. Il secondo è il bias della coerenza, che agevola chi mantiene un registro emotivo costante, calmo e misurato. Chi oscilla tra emozioni diverse rischia di apparire sospetto, a prescindere dai fatti.
Ho apprezzato che la vincita finale sia stata devoluta al 50% a un’associazione che supporta persone con sindrome di Down. Essendo un’edizione VIP (in altri Paesi esistono anche stagioni dedicate a persone comuni), ho dato per assodato che il montepremi andasse in beneficenza di default come in altri programmi con personaggi famosi. In realtà non è così. Il mio personale bias in questo caso è il Stereotyping Bias, ovvero ho proiettato uno schema in base alle mie esperienze pregresse.
A ben vedere, la vincita finale ha molto senso: è un obiettivo che dà senso alla competizione. Anche io, insomma, ho interpretato male una situazione e sono caduta in un bias.
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