Vermiglio, l’incanto del cinema italiano ignorato dal nostro pubblico
Vermiglio di Maura Delpero rappresenta una meraviglia parzialmente nascosta nel panorama cinematografico italiano. La sua evidente qualità artistica, riconosciuta nei più prestigiosi festival internazionali, oltre che dalla critica internazionale, sembra invece perdersi nel vuoto delle nostre sale e tra le opinioni spesso superficiali del nostro pubblico. Distribuito da Lucky Red, il film avrebbe meritato maggiore visibilità e attenzione da parte del pubblico italiano. Nonostante abbia vinto il Leone d’Argento a Venezia e abbia ottenuto recentemente sette David di Donatello, tra cui quelli più ambiti come Miglior film e Miglior regia, il film sembra aver faticato a trovare l’interesse del pubblico italiano sempre ed inesorabilmente attratto dai Blockbuster internazionali, distraendo alcuni da una pellicola che, invece, meriterebbe di essere trattata come un classico moderno.

Mi piace girovagare per il web e vedere cosa dicono gli “Stranieri” del cinema italiano, anche con Vermiglio questa mia pratica non ha fatto eccezione, ho consultato decine di recensioni di critici e giornalisti di livello internazionale: nessuno ha potuto non innamorarsi di Vermiglio, definendolo un’opera di rara poesia e di profonda introspezione, un esempio di cinema che sa parlare di emozioni vere, di storie autentiche e di un’Italia nascosta che spesso ignoriamo. È stato presentato nei festival più importanti come il BFI London Film Festival o il Toronto International Film Festival, e ha ricevuto applausi caldi, riconoscimenti che dovrebbero, forse, imporre una riflessione anche in Italia. Ma come mai il nostro pubblico, così attento alle novità commerciali e alle frivolezze, sembra aver perduto il senso di un cinema che nasce dalla verità e dalla memoria?
Una storia che nasce dal cuore e dall’esperienza familiare
Vermiglio si distingue innanzitutto per la sua autenticità radicale, alimentata dal patrimonio personale della regista, Maura Delpero. La regista trae ispirazione dal suo vissuto, dall’osservazione di un territorio e di una cultura che spesso vengono bandite dall’immaginario collettivo italiano più superficiale. La sua narrazione si snoda lentamente, quasi come un sussurro, avvolgendo lo spettatore con un racconto di ricordi, segreti e gesti discreti, che affiorano con delicatezza e grande rispetto per le vite di uomini e donne di un’epoca difficile.
La storia si dipana tra le montagne dell’alto Trentino e il contesto storico della Seconda Guerra Mondiale, nel 1944, un periodo cruciale e complesso che si riflette nelle vite di questa famiglia di montagna. È un mondo fatto di piccole cose, di abitudini radicate, di lutti silenziosi e di speranze fragili come il ghiaccio al sole. In questa cornice, i personaggi sono autentici e vivi, interpretati con naturalezza che pare quasi spontanea, senza recite o forzature.
Il film, attraverso un’attenta ricostruzione di costumi, ambienti e dialetti, rende palpabile la quotidianità di queste persone, che vivono tra il lavoro di montagna, le tradizioni, le gioie semplici e le tensioni di una società ancora fortemente patriarcale e conservatrice. È una visione che va oltre il racconto storico: diventa un’immersione nell’anima di un’Italia profonda, spesso ignorata o sottovalutata, e ci invita a riflettere su come il passato plasmi ancora le nostre vite e il nostro modo di percepire il presente.
Un’opera troppo sottovalutata
Vermiglio si distingue per una regia e una fotografia di altissimo livello, elementi che contribuiscono a creare un’atmosfera rarefatta e intensa. La regia di Delpero si caratterizza per un controllo assoluto del ritmo, lontano dalla retorica o dall’enfasi facile. La scelta di affidarsi a immagini, silenzi e a una narrazione che privilegia il dettaglio e l’inferenza fa di Vermiglio un film che chiede attenzione e ascolto, ma che ripaga con una profondità e una delicatezza rare.
La fotografia di Mikhail Krichman, già collaboratore di Zvyagintsev, si muove con eleganza tra paesaggi innevati, interni solitari e dettagli che catturano la vita minuta di questa famiglia di montagna. La composizione delle inquadrature è accurata, asettica e sublime, e rende ogni scena un quadro di nostalgia, di perdita e di speranza.
La regista gioca con l’anima visiva del film, creando un’atmosfera rarefatta, quasi sospesa, che coinvolge lo spettatore in un’eco di emozioni profonde e silenziose. La cura estetica, la cura per i dettagli, sono evidenti e contribuiscono a elevare Vermiglio a livello di vera e propria opera d’arte. È un cinema che si prende il suo tempo, che invita a uno sguardo attento e a una riflessione condivisa sui temi universali della memoria e dell’identità. Delpero, attraverso questa scelta stilistica, ci conduce in un mondo che non è solo rappresentato, ma vissuto, respirato, toccato con mano e con il cuore.
Tuttavia, nonostante la qualità artistica evidente, sembra che il pubblico italiano – e una fetta della critica – non abbia ancora saputo cogliere appieno questa magnificenza. La lentezza contemplativa, la sottigliezza dei sentimenti e il rispetto per i silenzi fanno apparire Vermiglio come un “film difficile”, troppo impegnativo o troppo serio per certi gusti più superficiali. Al contrario, questa scelta stilistica rappresenta una forza, ma anche un ostacolo in Italia, dove troppo spesso si privilegiano i film più immediati e meno introspettivi. Il confronto con la critica internazionale invece è impietoso: Vermiglio viene celebrato come un’opera che incanta, che invita alla riflessione e che costituisce uno squarcio autentico sulla memoria e sull’identità italiana. In molte recensioni si parla di un’opera “destinata a rimanere”, di un film che “parla di noi più di quanto pensiamo”. Un esempio di cinema che, pur richiedendo pazienza, sa dare emozioni profonde e durature.
Un premio che accredita il valore di Vermiglio
Il Leone d’Argento vinto a Venezia, ha consacrato Vermiglio tra le grandi opere del cinema contemporaneo. È una vittoria morale e artistica che dovrebbe essere motivo di vanto anche per il nostro cinema e per la nostra cultura, un segnale forte che dimostra come il cinema italiano possa offrire opere di livello internazionale, capaci di parlare a mondi e culture ricevendo applausi e consensi condivisi. Non si tratta solo di un premio, ma di un messaggio: Vermiglio rappresenta una parte autentica dell’Italia, quella che resiste, quella che soffre e quella che spera, che si racconta senza maschere né possibilità di abbaglio.
C’è anche il merito di aver ottenuto pochi giorni fa ben sette David di Donatello, tra cui miglior film e miglior regia, riconoscimenti che attestano come anche le istituzioni cinematografiche italiane riconoscano la forza e il valore di questa pellicola. Tuttavia, la vera sfida resta nel far sì che tale cinema venga ascoltato, visto e apprezzato non solo nelle occasioni di premio, ma nel suo stesso spirito di testimonianza umana, di memoria collettiva, di bellezza autentica.
I nostri tesori culturali
Vermiglio, insomma, non è solo un film. È una testimonianza di come il cinema possa essere uno strumento di indagine, di memoria e di riscoperta identitaria. La sua potenza affronta tematiche universali come il dolore, l’amore, la perdita. La speranza, ma lo fa attraverso uno sguardo profondamente italiano, radicato nel territorio, nella storia, nelle tradizioni. Quello che si aspetta da noi è un atteggiamento più aperto, più sensibile, più attento al valore delle produzioni che nascono nel nostro Paese.
È auspicabile che in Italia impariamo a riconoscere e sostenere i nostri artisti e a valorizzare le nostre storie, così come fanno con grande rispetto. Entusiasmo le nazioni che amano e custodiscono il proprio patrimonio culturale. In un’epoca di globalizzazione e di omologazione, Vermiglio ci insegna quanto sia importante riscoprire le nostre radici e quanto il cinema possa essere un ponte tra il passato e il presente, tra il dolore e la speranza, tra la memoria e il desiderio di futuro.
Un invito a cambiare prospettiva
Vermiglio è un film di rara perfezione che meriterebbe di essere riconosciuta a più ampio consenso nazionale. Un esempio di cinema che si distingue per sottigliezza, raffinatezza e profondità etica e estetica. È un film che parla di noi, di una nostra identità perduta e ritrovata, di un’Italia autentica e fragile, ma anche ricca di questa forza invisibile che si chiama amore e memoria. È un film che ci invita a guardare oltre le apparenze, a riflettere sulla nostra storia e sulle radici di un’umanità universale. Speriamo che la nostra attenzione possa finalmente concentrarsi su Vermiglio come sulla grande opera che è, e che questa porta spalancata possa aprire le porte anche ad altri talenti italiani, pronti a raccontare e a valorizzare il patrimonio culturale e umano del nostro Paese.
Solo così potremo riconoscere, rispettare e preservare la ricchezza di storie autentiche che l’Italia ha da offrire, e che il cinema di Maura Delpero ha saputo consegnarci come un vero e proprio monumento di poesia e verità.
Il film Vermiglio ci insegna che il vero cinema non si misura soltanto nei grandi budget o nelle scene mozzafiato, ma nella capacità di penetrare l’animo umano, nelle sfumature più intime e genuine. È un invito rivolto a tutti noi, un monito a riscoprire il valore delle nostre radici e delle nostre storie. Spesso vuote di ascolto o di rispetto. Solo così potremo costruire un’identità culturale più forte, più consapevole. Pronta ad accogliere le grandi opere che, come Vermiglio, ci sono già, e che aspettano solo di essere viste e amate.
Un capolavoro che non dovrebbe rimanere nell’ombra
Non penso di esagerare dicendo che il film Vermiglio è un capolavoro che non dovrebbe rimanere nell’ombra, un esempio di come il cinema possa essere un potente strumento di memoria e di crescita. La speranza è che il pubblico italiano riesca finalmente a riconoscere la sua grandezza. Che il nostro cinema possa tornare a essere anche un ambito di eccellenza riconosciuto nel mondo. Attraverso opere che hanno il coraggio di raccontare la propria verità senza compromessi. Perché, come in Vermiglio, il vero valore della cultura si misura anche nel rispetto. Nella cura di ciò che ci rende unici, autentici e profondamente umani.
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