Zodiac Killer Project, la recensione di un true crime mancato
Charlie Shackleton, cineasta e critico britannico rinomato per le sue dissezioni acute di generi cinematografici come i teen movie “Beyond Clueless” e l’horror “Fear Itself”, si immerge nel torbido mondo del true crime con il suo ultimo lavoro, “Zodiac Killer Project”. Il docufilm, proiettato alla 78a edizione dell’Edinburgh International Film Festival, contrariamente a quanto ci si potrebbe aspettare, non è il solito documentario che sviscera crimini efferati e teorie complottistiche. Si tratta, piuttosto, di una meta-narrazione geniale, un “film sul non poter fare un film”, come lo definisce lo stesso Shackleton, che trascende i confini del genere e si trasforma in un’esplorazione arguta e autoironica del processo creativo, dell’ossessione per il true crime e delle dinamiche spesso oscure che regolano l’industria dell’intrattenimento.
Shackleton, con una maestria che incanta e disorienta, fonde storytelling e analisi critica, creando un’esperienza unica e stimolante che, al tempo stesso, celebra e smitizza il genere. Il suo approccio è quello di un’autopsia intellettuale, una dissezione chirurgica del genere true crime che ne rivela l’anatomia, le fragilità e le ambiguità.
Un progetto interrotto: la genesi inattesa di un film incompiuto
L’idea originale di Shackleton era quella di realizzare un documentario basato sul libro “The Zodiac Killer Cover-Up: The Silenced Badge” di Lyndon E. Lafferty, un ex agente della California Highway Patrol che aveva dedicato anni della sua vita a indagare su un uomo che credeva essere il famigerato Zodiac killer, seminando terrore e mistero nella San Francisco degli anni ’60. Shackleton, intravedendo un potenziale cinematografico irresistibile, si era lasciato affascinare dalla storia di Lafferty, percependo in essa una natura cinematografica innata.
Tuttavia, come spesso accade nel mondo del cinema, un ostacolo imprevisto si frappone tra il sogno e la sua realizzazione: i diritti del libro, cruciali per la realizzazione del progetto, vennero meno, lasciando Shackleton con un pugno di mosche e un film incompiuto. Ma è proprio da questa battuta d’arresto, da questo fallimento annunciato, che nacque l’idea più brillante: invece di abbandonare del tutto il progetto, Shackleton decise, con un colpo di genio, di fare un film sul film che non poteva fare, trasformando la frustrazione creativa in una forma d’arte nuova e inaspettata.
Decostruire il genere: quando la meta-narrazione diventa arte
“Zodiac Killer Project” si presenta quindi come un’autobiografia del fallimento, un resoconto intimo e autoironico del processo creativo interrotto. Shackleton ci guida attraverso i meandri della sua mente, raccontando i momenti narrativi che aveva pianificato per il film, descrivendo le riprese, le interviste, le ricostruzioni che non vedranno mai la luce. Parla con una cadenza errante e riflessiva, su lunghe riprese di esterni della Bay Area, luoghi che sarebbero dovuti diventare teatro del suo film e che ora, invece, rimangono silenziosi testimoni di un sogno infranto.
Occasionalmente, Shackleton si abbandona a sequenze immaginarie, visualizzando mentalmente le scene culminanti, prima di interrompersi bruscamente, scoppiando a ridere della propria autoillusione e rompendo il suo stesso incantesimo. Non si risparmia nel riconoscere e svelare le banali riprese di inserto, le interviste stereotipate, le musiche lugubri e i cliché narrativi che affollano i documentari true crime, definendoli “tropi visivi” e smascherandone l’artificialità.
Utilizzando gli stessi strumenti del genere ma in chiave meta-narrativa, Shackleton spiega come veniamo manipolati dai film e dalle serie true crime, mentre, allo stesso tempo, ci manipola a sua volta, creando un gioco di specchi che disorienta e diverte. Il grande scherzo, e la tesi centrale del film, è che tutto questo può essere realizzato usando solo pezzi di ricambio, frammenti di immaginazione e una buona dose di autoironia. La sua struttura narrativa, che si articola in tre atti, rispecchia quella che Shackleton avrebbe utilizzato per il suo film incompiuto, creando un parallelismo che enfatizza il carattere meta-cinematografico dell’opera.
Problemi etici: navigare nelle acque torbide del true crime, tra voyeurismo e sfruttamento
Ma “Zodiac Killer Project” non si limita a essere una brillante decostruzione del genere true crime. Nel corso del film, Shackleton solleva interrogativi profondi e scomodi sulle implicazioni etiche di questo tipo di narrazione, che spesso si nutre della sofferenza altrui e trasforma la tragedia in intrattenimento. Si riferisce a documentari controversi come “The Jinx” e “Paradise Lost II: Revelations”, sottolineando come i cineasti spesso superino i limiti etici alla ricerca di una narrazione avvincente, mettendo in discussione lo sfruttamento della tragedia a scopo di lucro, l’ossessione morbosa per i dettagli macabri e il potenziale di manipolazione e sensazionalismo che si nasconde dietro la facciata della “ricerca della verità”.
Shackleton si confronta, in modo onesto e spietato, con l’equilibrio precario tra autenticità ed effetto, riconoscendo le distorsioni e le offuscazioni inerenti alla realizzazione di documentari e interrogandosi sull’etica del riprodurre qualcosa al fine di criticarlo, o di accennare a una violazione etica al fine di denunciare: “Questo è sbagliato!”.
L’assenza di una conclusione: abbracciare il caos della realtà, rinunciando alla ricerca di risposte facili
E proprio come il caso dello Zodiac killer rimane, ancora oggi, irrisolto, “Zodiac Killer Project” si conclude senza fornire risposte facili o consolatorie. In assenza di una vera e propria risoluzione, Shackleton riflette su come avrebbe creato un senso di chiusura per il suo film, ammettendo di aver considerato le manovre narrative spesso impiegate per suggerire il “caos della realtà” e i “misteri nel cuore dell’universo”. Il finale del film, che riecheggia le conclusioni ambigue di molti documentari true crime, evidenzia la dipendenza del genere dalla creazione di una sensazione di chiusura, anche quando la verità rimane sfuggente e inafferrabile.
Un trionfo del meta-commento: più di una semplice “Ombra pallida”, un’opera unica e indimenticabile
Nonostante Shackleton inizialmente vedesse “Zodiac Killer Project” come una “pallida ombra” del film che aveva immaginato, il risultato finale trascende di gran lunga le sue premesse e i suoi limiti. Si tratta di un lungometraggio audace, astuto e incredibilmente divertente che offre una prospettiva nuova e originale sul genere true crime e, più in generale, sul mondo del cinema e della cultura contemporanea. Svelando l’artificio e le convenzioni di questi documentari, smascherando le dinamiche di potere che regolano l’industria dell’intrattenimento e mettendo in discussione il nostro ruolo di spettatori, Shackleton ci incoraggia a diventare consumatori di media più attivi, consapevoli e critici.
“Zodiac Killer Project” non è solo un film su un film non realizzato; è un’esplorazione arguta e perspicace della nostra ossessione per il true crime, del potere della narrazione e della complessa relazione tra arte, realtà e finzione. Un’opera unica e indimenticabile che, con intelligenza e autoironia, ci invita a guardare il mondo con occhi nuovi.
Cosa mi è piaciuto:
- L’originalità dell’approccio meta-narrativo: Un’idea geniale che trasforma un fallimento in un’opera d’arte.
- L’analisi critica e autoironica del genere true crime: Shackleton smaschera i cliché e le manipolazioni del genere con intelligenza e umorismo.
- La capacità di coinvolgere lo spettatore: Nonostante la natura teorica del film, la narrazione è avvincente e stimolante.
- L’onestà intellettuale del regista: Shackleton non ha paura di mettere in discussione le proprie scelte e i propri dubbi.
- Il finale aperto e ambiguo: Un invito a riflettere sulla complessità della realtà e sulla difficoltà di trovare risposte facili.
Cosa si sarebbe potuto fare meglio:
- Approfondire ulteriormente alcuni aspetti etici: Il tema dell’etica del true crime avrebbe potuto essere esplorato in modo più dettagliato.
- Alternare immagini più evocative: A tratti l’assenza di materiale visivo può risultare limitante per lo spettatore.
- Inserire più elementi personali: Un maggiore coinvolgimento emotivo del regista avrebbe potuto rendere il film ancora più toccante.
Verdetto finale:
“Zodiac Killer Project” è un’opera unica nel suo genere, un film che sfida le convenzioni e offre una prospettiva originale e stimolante sul mondo del true crime e del cinema. Un’esperienza che va oltre il semplice intrattenimento e che invita lo spettatore a riflettere sulla complessità della realtà e sul potere della narrazione. Assolutamente da vedere per chi ama il cinema intelligente e fuori dagli schemi.
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