Better Man, recensione
Bastano pochi minuti del nuovo film musical Better Man per dimenticarci che sullo schermo il piccolo Robert Williams è interpretato da un scimmia. Dopo essere stato ridicolizzato dai ragazzetti di quartiere ed essere finito nel fango durante una partitella di calcio, Robert inizia ad intonare “Feel” e il tuo cuore inizia a spezzarsi. Con la visionaria regia di Michael Gracey (The Greatest Showman), che ha anche co-scritto la sceneggiatura, il film è raccontato in modo unico dalla prospettiva di Williams. Catturando il suo stile inconfondibile e la sua ironia. Better Man arriva al cinema grazie a Lucky Red, dal 1° gennaio 2025.
Better Man, il musical biopic rivoluzionario di Michael Gracey
Quando pensi a Robbie Williams, pensi a una delle più grandi pop star di tutti i tempi. Alla fama, al successo, a tutte quelle cose che il pubblico da sotto al palco brama ma in realtà non conosce davvero. Con Better Man, Gracey realizza un biopic unico nel suo genere. Un musical che racconta l’ascesa – mai gioiosa – di Williams, dalle strade di Stoke-on-Trent ai concerti di Knebworth con il record di presenze in tre serate, ancora da battere.
Dal rapporto incrinato con il padre, egocentrico e ossessionato dallo spettacolo, il suo idolo, che abbandona il figlio e la moglie in cerca di fama, che passerà l’eternità a cercare conferma. Nel frattempo, diventa Williams stesso un idolo di una boyband sedicenne. Trascorre gli anni successivi in uno stato di sviluppo “bloccato” da alcol, droghe ed eccessi. Arrestato, rallenta ulteriormente la sua crescita, indipendentemente da tutte le situazioni estremamente mature in cui si ritrova. Il tutto, testimoniato della delicata mano guida di Gracey, che ci porta a provare un’empatia senza tempo per Williams, nelle vesti di questo primate compiacente, fin dai primi minuti. Le nostre esperienze di vita potrebbero essere un mondo lontano dalle sue, ma le preoccupazioni di Better Man sono universali. Il bisogno di essere amati, di sentirsi al sicuro, protetti, di non essere sfruttati.
Una visione pura e autodistruttiva
“Mi sono sempre sentito meno evoluto delle altre persone, come se fossi rimaste fermo a 15 anni. Questa cosa l’ho sempre presa come una scusa”. Questo ha portato all’idea di rappresentare la storia attraverso l’utilizzo veritiero e credibile della CGI, che sfrutta Jonno Davies e lo trasforma in una scimmia. “Volevo essere sicuro che il modo in cui abbiamo rappresentato la sua vita fosse creativamente unico”.
Un’ascesa pura dal punto di vista più personale di Williams. Autodistruttiva, nonostante appunto non sia stato scelto un attore che mostri un viso. Racconti di una generazione anni 90-2000 che faranno breccia nella nostalgia come tante produzioni recenti (vedi il caso degli 883 con la serie Sky Hanno Ucciso l’Uomo Ragno). Momenti storici importanti e significativi che riporteranno alla ribalta tutta la musica indimenticabile e intramontabile del cantante inglese. In primis gli incontri con gli Oasis e il rapporto con Natalie Appleton delle All Saints.
Better Man porta con sé tante cose. I rapporti complicati famigliari, il desiderio di essere ricordato, di essere qualcuno per via dei traumi del passato e i demoni che non ti abbandonano mai. Che alla fine accetti. Nonostante ci combatti per tutta la vita, non puoi fare altre che conviverci. Robbie, produttore esecutivo del film, non si lascia frenare nel raccontare qualsiasi cosa, anzi. Si può definire il musical, nel complesso, un’opera autodistruttiva che solo un artista, una personalità come Williams poteva realizzare insieme ad uno dei migliori registi in circolazione nel mondo del genere.
Michael Gracey, il maestro dei musical
Gracey realizza una regia pazzesca. Ci sono dei momenti pazzeschi, coreograti nel minimo dettaglio su piani sequenza in cui i nostri occhi si perdono in questo mare di danze e musicalità. Due scene in particolare accompagnate da due canzoni iconiche del cantante.
La prima, sulle note di Rock Dj, i Take That – appena formatosi – girano per le strade di Londra. Con un montaggio alternato che racconta l’avanzare del loro straordinario successo, i cinque ballano, cantano per le vie della città. Utilizzano oggetti che trovano lungo il loro cammino. I passanti si uniscono a loro come i più classici dei musical come Singing in the Rain o La La Land. Intrattenimento puro.
Poi la scena della barca. Quel capodanno dove Robbie incontra Natalie Appleton. Una danza sulle note di She’s The One, con un montaggio che racconta la loro storia d’amore. Flashforwards che non si limitano alla gioia, anzi arrivano direttamente alla caduta del loro rapporto. Un continuo pugno nello stomaco. Non c’è mai tregua per Robbie Williams. Questo è quello che vuole arrivare al pubblico. “La fama è bella solo in fotografia”. Robbie si droga, tradisce, mente, è solo, cade. “Sento di poter cadere in qualsiasi momento e molte volte lo faccio”.
Mai come prima d’ora in una trasposizione biografica di una popstar o di una celebrità è percettibile, quel senso di depressione di solitudine che la fama può portare ad una persona di successo. Più volte viene ribadito il concetto – anche la base di uno delle canzoni più note del cantante, – Let Me Entertain You – fare quello che piace al pubblico e la gente deve lasciare che Robbie li intrattenga. “Io sono Robbie Williams e il vostro culo è mio per le prossime due ore”.
Robbie Williams si mette a nudo e non si risparmia, non ha paura di dire le cose come stanno su di lui, sulle persone della sua vita, sui Take That, e non ne esce brillantemente, come magari poteva fare chiunque altro nel rappresentare la proprio biopic. In questo caso Robbie non lascia niente alla parvenza, alla storpiatura del reale, ma si mette completamente lì per lo spettatore. “Sono qui per intrattenervi, questo è il mio spettacolo. Se non vi piace sono cazzi vostri. Prendetevelo”.
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