Broken English, la recensione del film di Jane Pollard e Iain Forsyth
Jane Pollard e Iain Forsyth, cineasti audaci e innovativi, noti per la loro capacità di fondere documentario e finzione in opere uniche e suggestive, ci offrono con “Broken English” un ritratto intimo e sfaccettato di Marianne Faithfull, icona ribelle e voce inconfondibile del panorama musicale britannico. Dopo aver esplorato l’universo interiore di Nick Cave in “20,000 Days on Earth”, vincitore al Sundance, e aver sperimentato il musical con “The Extraordinary Miss Flower”, i due registi tornano a stupire con questo film presentato fuori concorso all’82ª Mostra Internazionale d’Arte Cinematografica di Venezia.
Questo non è un semplice documentario biografico; è un’immersione profonda nell’anima di una donna che ha vissuto la sua vita senza compromessi, affrontando successi e scandali, amori e dipendenze, e trasformando ogni esperienza in arte. Marianne Faithfull, con una carriera costellata di album indimenticabili e collaborazioni prestigiose, si mette a nudo davanti alla telecamera, offrendo uno sguardo senza filtri sulla sua vita e sulla sua arte. Accanto a lei, un cast stellare composto da Tilda Swinton, George MacKay, Calvin Demba, Zawe Ashton e Sophia Di Martino contribuisce a creare un’esperienza cinematografica intensa, emozionante e ricca di spunti di riflessione.
Un ministero per non dimenticare: archivi dell’anima
Il film si apre con una cornice narrativa originale e suggestiva: il “Ministero del Non Dimenticare“, un’istituzione immaginaria che sembra uscita da un romanzo di Kafka. Questo luogo, guidato dall’enigmatica “Supervisore” interpretata da Tilda Swinton, ha il compito di preservare la memoria di figure iconiche, non semplicemente ricordandole, ma estraendo la loro essenza più profonda. Il suo primo caso è proprio Marianne Faithfull, un’artista complessa e sfaccettata che ha segnato la storia della musica e della cultura popolare.
La “Supervisore” affida al giovane e idealista “Archivista“, interpretato da George MacKay, il compito di intervistare la cantante, immergendosi negli archivi della sua vita attraverso filmati d’archivio, fotografie, brani musicali e testimonianze di amici e collaboratori. Questo setting surreale diventa una metafora del processo di rielaborazione della memoria, un viaggio attraverso il tempo e lo spazio alla ricerca della verità.
Performance attoriale: un dialogo intergenerazionale
Le interpretazioni sono uno dei pilastri del film. Tilda Swinton, con la sua presenza magnetica e androgina, incarna perfettamente l’enigmatica “Supervisore”, una figura quasi eterea che sembra provenire da un altro mondo. La sua voce, profonda e modulata, conferisce al personaggio un’aura di mistero e autorevolezza. George MacKay, da parte sua, si rivela un intervistatore sensibile e empatico, capace di creare un’immediata connessione con Marianne Faithfull. Il suo sguardo attento e partecipe, le sue domande pertinenti e rispettose, contribuiscono a creare un’atmosfera di fiducia e intimità. Ma è Marianne Faithfull a dominare la scena, con la sua presenza carismatica e la sua voce roca e inconfondibile. La cantante si mette a nudo con coraggio e sincerità, ripercorrendo i momenti salienti della sua vita, dai successi musicali agli eccessi, dalle relazioni tumultuose alle rinascite artistiche.
Non si nasconde dietro maschere o reticenze, ma si racconta con onestà e autoironia, svelando le fragilità e le contraddizioni di una donna che ha sempre vissuto la sua vita al massimo. Gli altri attori, tra cui Calvin Demba, Zawe Ashton e Sophia Di Martino, contribuiscono a creare un’atmosfera vivace e coinvolgente, arricchendo il racconto con le loro prospettive e le loro esperienze.
Pollard e Forsyth: autori di emozioni e verità
Dopo aver visto questo film, che segue la mia precedente esperienza con il loro “The Extraordinary Miss Flower” al Glasgow Film Festival, e dopo aver avuto il privilegio di intervistarli in entrambe le occasioni, posso affermare con certezza che Jane Pollard e Iain Forsyth sono autori di una sensibilità rara. La loro capacità di creare opere che vanno oltre la semplice narrazione, scavando nell’animo dei loro protagonisti e offrendo al pubblico ritratti autentici e commoventi, è davvero notevole. Non si limitano a raccontare una storia; creano un’esperienza emotiva, un viaggio interiore che tocca le corde più profonde dell’anima.
In “Broken English”, questa loro capacità raggiunge l’apice, grazie alla collaborazione con una figura iconica come Marianne Faithfull, che si affida completamente alla loro visione artistica. Pollard e Forsyth non si limitano a documentare la sua vita; la celebrano, l’analizzano, l’interpretano, creando un’opera che è al tempo stesso un omaggio e una riflessione sulla natura della fama, dell’arte e della memoria. La loro regia, audace e sperimentale, si distingue per l’uso di immagini evocative, di una colonna sonora intensa e coinvolgente, e di una narrazione non lineare che invita lo spettatore a partecipare attivamente alla costruzione del significato.
La voce di una leggenda: tra ricordi e riflessioni
Il cuore del film è rappresentato dalle conversazioni tra Marianne Faithfull e George MacKay. In questo spazio intimo e protetto, la cantante ripercorre la sua carriera, dagli esordi come giovane promessa del folk, con il successo planetario di “As Tears Go By”, alla consacrazione come icona rock, con l’album “Broken English”, che segnò una svolta radicale nel suo percorso artistico.
Faithfull non si tira indietro di fronte ai momenti difficili, come la dipendenza dalla droga, i problemi di salute, le relazioni tumultuose e le critiche feroci dei media. Rivela i suoi errori, le sue debolezze, le sue paure, ma anche la sua forza, la sua resilienza e la sua determinazione a non arrendersi mai. Racconta la sua esperienza con i Rolling Stones, il suo rapporto con Mick Jagger, la sua amicizia con Allen Ginsberg e Bob Dylan. Parla della sua passione per la poesia, per il teatro, per la musica di Kurt Weill. E lo fa con una voce segnata dal tempo e dalle esperienze, ma ancora capace di emozionare e commuovere.
Omaggio femminista: un coro di voci
Il film non si limita a celebrare la figura di Marianne Faithfull come artista e icona di stile. Offre anche una riflessione profonda e complessa sul ruolo delle donne nel mondo della musica e dello spettacolo, un mondo che spesso le ha relegate a ruoli marginali, sminuendo il loro talento e la loro creatività. Attraverso una tavola rotonda moderata da Edith Bowman e Sophie Fiennes, un gruppo di artiste e intellettuali, tra cui Sienna Guillory, Natasha Khan, Katy Hessel e Harriet Vyner, analizza l’eredità di Faithfull, sottolineando il suo contributo alla lotta per l’emancipazione femminile e il suo ruolo di modello per le generazioni future. Le loro voci, diverse e complementari, creano un coro potente e commovente che celebra la forza, la creatività e la resilienza delle donne.
L’ultimo canto: un addio commovente
Il film si conclude con un’esibizione intensa ed emozionante di Marianne Faithfull, affiancata da Nick Cave e Warren Ellis, nel brano “Misunderstanding”, tratto dal suo album “Negative Capability”. Questa performance, registrata poco prima della scomparsa della cantante, assume un valore testamentario, diventando un addio commovente e indimenticabile. La voce di Faithfull, segnata dal tempo e dalle esperienze, risuona con una forza espressiva unica, regalando al pubblico un’ultima emozione. Le parole della canzone, intrise di dolore e di speranza, sembrano riassumere la sua intera esistenza: “Misunderstanding is my name… You only want to f*** me up if you can, but I say no”.
Cosa mi è piaciuto:
- La regia audace e sperimentale di Jane Pollard e Iain Forsyth, che fonde documentario e finzione in un’opera unica e suggestiva.
- Le interpretazioni intense e sincere di Marianne Faithfull, Tilda Swinton e George MacKay danno vita a personaggi complessi e sfaccettati.
- La colonna sonora è ricca di brani iconici e reinterpretazioni originali, che accompagna lo spettatore in un viaggio emotivo attraverso la vita e l’arte di Marianne Faithfull.
- La riflessione profonda e complessa sul ruolo delle donne nel mondo della musica e dello spettacolo offre spunti di riflessione e di discussione.
- L’omaggio commovente e indimenticabile a una leggenda della musica, che ci lascia con un senso di ammirazione e di gratitudine.
Cosa si sarebbe potuto fare meglio:
Credo che le lacrime e l’emozione che ho provato nel vedere questo film siano sufficientemente esaustive per esprimere la sua potenza. Cercare di migliorarlo ulteriormente sarebbe come voler aggiungere un fiore a un bouquet già perfetto. La sua capacità di toccare le corde più profonde dell’anima, di commuovere e di far riflettere, lo rende un’opera unica e irripetibile, difficile da superare.
Verdetto finale: un’occasione perduta?
“Broken English” è un’opera cinematografica di grande valore artistico e culturale, che meriterebbe di essere vista e apprezzata da un pubblico vasto. È un peccato che il film sia fuori concorso alla Mostra di Venezia, perché avrebbe sicuramente potuto riservare delle sorprese e conquistare premi prestigiosi. Spero che questo ritratto intimo e audace di Marianne Faithfull possa trovare la sua strada e conquistare il cuore degli spettatori di tutto il mondo, diventando un classico del cinema documentario musicale.
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