Inizia la 3° stagione su Mya!
In Italia sta finalmente per partire la terza stagione di Dallas, il 22 ottobre su Mya (Mediaset Premium) col primo di 15 episodi, ma negli Stati Uniti già si abituano all’idea di non dover mai più tornare a Southfork. A poco più di una settimana dallo scioccante season finale della season 3 andato in onda su TNT, i responsabili del network hanno fatto sapere che basta, i cancelli del mitico ranch verranno irrimediabilmente chiusi: “Siamo molto orgogliosi di Dallas che ha sfidato ogni aspettativa con questa continuazione della saga degli Ewing. Ringraziamo tutte le persone coinvolte nella serie, il nostro straordinario cast e l’impeccabile team di produzione, guidato da Cynthia Cidre e Mike Robin”.
Ma il vertiginoso calo di ascolti a un certo punto non ha lasciato dubbi. Peccato. Peccato, perché la serie si è svelata fin da subito ben costruita, appassionante e con degli interpreti sempre in parte, fatto salva qualche eccezione. Peccato perché si trattava di un prodotto che, seppur definito “trash” da qualcuno, ha saputo incollare allo schermo chi ha scelto di (ri)affezionarsi alle (dis)avventure dei redivivi Bobby (Patrick Duffy), Sue Ellen (una Linda Gray ormai stanchissima) o alle vicende di irresistibili nuove leve quali John Ross (Josh Henderson) e Pamela (Julie Gonzalo: diventerà una star).
Protagonisti di storie al limite dell’inverosimile ma per questo capaci di sbalordirci e di spingerci a scoprirne il seguito, un pò come accadeva con l’indimenticabile Melrose Place. Non a caso, se c’è chi di Dallas parlò bene ai tempi del debutto nel 2012 come Ken Tucker di Entertainment Weekly, per cui si trattò del miglior tentativo di riportare in tv un vecchio format, Linda Stasi sul New York Post preferì fare del sarcasmo, scrivendo che “è ridicolo, avventato, assurdo e talmente sopra le righe da rasentare la follia. E questi sono solo alcuni dei motivi per cui si fa e si farà amare”.
Dallas: dove eravamo rimasti…?
Ma veniamo a questo nuovo ciclo di puntate, che non mancherà di deliziare tutti i fan.
Avevamo lasciato John Ross e Pamela freschi sposi, nonché soci in affari, e avevamo scoperto che no, il rampante figliolo del compianto J.R. (Larry Hagman, venuto a mancare durante le riprese delle seconda stagione) non era per niente disposto a trasformarsi di colpo in un compagno fedele, visto che ci ha svelato una tresca sessual/professionale con Emma (Emma Bell: le sue performance d’attrice miglioreranno cavalcando cavalcando. In tutti i sensi), l’ambigua figlia ritrovata di Ann (Brenda Strong, lei è sempre impagabile, che vada a sparare all’ex marito o che versi del whisky, pardon, del succo di frutta a Sue Ellen).
La combriccola dei petrolieri sembra aver messo finalmente a tacere il nemico di sempre Cliff Barnes (Ken Kercheval: poverello, ma lasciatelo andare in pensione), accusandolo di aver ucciso J.R.
Sembra, a meno che non si metta in mezzo una Elena Ramos (Jordana Brewster) assetata di vendetta nei confronti di una famiglia che ha truffato il suo povero padre conducendolo alla morte, vendendogli una terra rivelatasi poi arida. A svelarglielo è proprio Cliff nel finale della stagione 2, intenzionato ad aizzare la giovane contro i suoi di nemici.
Ad aiutarla in questo pericoloso gioco alla Conte di Montecristo ecco correre Joaquin, suo ambiguo amico d’infanzia conosciuto anche come Nicholas Trevino, impersonato da Juan Pablo Di Pace (visto in Mamma Mia!).
Nuovi arrivi nel cast!
L’attore di origini brasiliane è la più interessante new entry assieme ad AnnaLynne McCord, la Naomi di 90210 che, nella parte di Heather, nuova “amica” di Christopher (Jesse Metcalfe), appare splendida anche quando preferisce le camicie country ai tacchi a spillo. Stagione di chiusura, dunque per questo Dallas 2.0.
Che ha avuto comunque un merito importante: quello di far conoscere alle nuove generazioni, abbagliate da giustizieri mascherati, morti viventi e professori che s’improvvisano spacciatori, una super saga che negli anni ’80 si è guadagnata le copertine delle più autorevoli riviste. Anche in Italia. Ma quelli erano altri tempi, altro pubblico, altri formati. E, probabilmente, ci si accontentava di poco.