“L’acqua connette tutte le cose: la vita alla morte, il buio alla luce”. Ed è proprio nell’acqua che ritroviamo l’elemento di James Cameron, pluripremiato regista canadese che con Avatar 2 ci regala un vero e proprio ritorno alle origini.
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Era il 1997 quando al cinema debuttava per la prima volta Titanic, il più costoso film fino ad allora mai realizzato con un budget di partenza di 200 milioni e altri 85 di promozione.
Considerato sin da subito un colossal epico-romantico, la pellicola con protagonisti due giovanissimi Leonardo DiCaprio e Kate Winslet, attrice presente anche nel cast di Avatar 2 nel ruolo della diffidente Ronal, viene superata per budget nel 2009 dall’arrivo del primo capitolo di Avatar.
Il film ci introduceva nuove tecnologie visive ed effetti speciali come il 3D Fusion Camera, tipo di cinepresa digitale alla quale Cameron stava dedicando numerosi anni di studio e sviluppo.
Lasciamo quindi l’Oceano Atlantico del 1912 per proiettarci nelle foreste pluviali di Pandora del 2154, un mondo primordiale circondato da magnifiche creature e imponenti foreste abitate dalla specie dei Na’vi. Una popolazione talmente affascinante e sofisticata che era impossibile non volerla rivedere in un altro capitolo di questa storia, il secondo di almeno cinque previsti dall’autore.
Ed è così che, tredici anni dopo l’uscita del primo film, il regista canadese mantiene la sua promessa con un meraviglioso sequel ancora più spettacolare, emozionante e costoso di sempre. Con un budget tra i 350 e i 400 milioni di dollari, almeno 160 milioni in più rispetto al primo, Cameron torna su Pandora prendendo questa volta la via dell’acqua, come a voler tornare al suo passato omaggiando se stesso e la sua passione per la settima arte.
Dopo aver solcato quindi in lungo e largo gli splendidi cieli di questo straordinario mondo, è il momento di immergerci e nuotare liberi nelle più profonde e cristalline acque marine di Pandora. Il risultato è la pellicola più matura, spettacolare e potente dell’autore, ma non per questo lontana dal regalare un’esperienza cinematografica ricca di stupore ed emozione anche per più piccoli.
Non solo straordinari motion capture ed effetti speciali curati da Wētā FX e proiettati sullo schermo per tre ore e 10 minuti, ma Avatar 2 è anche affetti familiari da proteggere a qualunque costo. “I Sully non si dividono”, questo è il motto di Jack (interpretato ancora da Sam Worthington) che ritroviamo dopo aver abbandonato per sempre il suo corpo da umano ed essere rimasto con la compagna Neytiri (interpretata da Zoe Saldana) su Pandora.
Con loro incontriamo anche i tre figli Neteyam (Jamie Flatters), Lo’ak (Britain Dalton), Tuk (Trinity Bliss), insieme a quelli adottivi Kiri (Sigourney Weaver) e l’umano Spider (Jack Champion), grazie ai quali la storia di Avatar si espande diventando corale e abbracciando molteplici sottotrame.
Proprio ai giovani, infatti, Jack passa il testimone ora che è in agguato una nuova minaccia dalla terra. Questa è rappresentata da un nemico del passato che ha giurato vendetta contro le azioni di Jake commesse anni prima.
I Sully si trovato così in estremo pericolo, e per questo prendono la triste decisione di lasciare la propria casa, la foresta, per trovare la salvezza altrove. Incontriamo quindi il clan dei Metkayina, guerrieri dell’acqua diversi dagli Omaticaya non solo per struttura fisica, ma anche per cultura e tradizioni.
Per sopravvivere, i Sully devono lasciarsi abbracciare dalle meraviglie dell’acqua e di tutte le sue creature, persino quelle considerate più pericolose. Proprio come dei bambini, i protagonisti devono avere fiducia nel nuovo popolo e prendere confidenza con quella natura a loro sconosciuta, scoprendo nel frattempo anche alcuni lati inesplorati di loro stessi.
Ed ecco emergere dall’intrigante trama di Avatar 2 importanti sottotemi che vanno dall’epopea familiare al conflitto generazionale, fino a raggiungere un’evidente denuncia ecologica e ambientale. Se proprio il sistema delle connessioni si trova al centro della vita perfetta di Pandora, per cui ogni essere vivente può vedersi e sentirsi con l’altro, è impossibile non percepire le connessioni al mondo esterno, e in particolare a quello del cinema alla letteratura da Balla coi Lupi a Moby Dick.
Cameron affronta le conseguenze di ciascuno di questi elementi, l’idea del selvaggio e della crudeltà dell’uomo verso la natura, con una cura e delicatezza tali da commuovere persino lo spettatore più cinico. Le riflessioni sulla guerra, la perdita e il sempre presente rapporto tra vita e morte non potrebbero essere più potenti e attuali che mai. Servono forse a questo i momenti di immersione visiva totale nei quali l’assenza dei dialoghi porta lo spettatore a percepire bellezza e spettacolo ovunque, ma anche a riflettere sulla triste lotta verso il diverso e il reietto che spacca tragicamente quel confine tra realtà e finzione.
Sebbene l’opera di Cameron non risulti perfetta dal punto di vista narrativo, ricorrendo forse un po’ troppo ad alcuni espedienti visti e rivisti soprattutto nella serialità, allo stesso tempo il magico mondo immaginato dall’autore ci affascina e intriga sul piano visivo e sensoriale, lasciandoci inoltre con un’importante lezione di vita.
Non è mai troppo tardi per iniziare ad avere rispetto verso la natura e verso il diverso, e di conseguenza verso se stessi. E se è vero che la natura immensa e intelligente descritta da Cameron lo ha sempre fatto, quando inizierà anche l’uomo?
“L’acqua non ha inizio o fine. Il mare è intorno a te e dentro di te. Il mare è la tua casa prima della tua. L’acqua connette tutte le cose: la vita alla morte, il buio alla luce”
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