Senso di colpa, stress post-traumatico e gioco d’azzardo, questi gli elementi che costringono il misterioso William Tell (Oscar Isaac) a sopravvivere valutando ogni rischio del resto della sua vita. Eppure non ci serve nessun calcolo delle probabilità per indovinare la grandezza di “The Card Counter”, film presentato in concorso alla 78° Mostra del Cinema di Venezia prodotto da Martin Scorsese e diretto dal Maestro Paul Schrader.
Attraverso la vuotezza di tormentate esistenze umane, il regista e sceneggiatore all’apice della Nuova Hollywood ripercorre la sua poetica da “Taxi Driver” a “First Reformed”, ultima opera presentata in concorso a Venezia 74°, con un film dal grande impatto visivo, psicologico e politico.
Non solo la suggestiva colonna sonora firmata dal chitarrista Robert Levon Been e da Giancarlo Vulcano, ma anche la straordinaria performance di Oscar Isaac, attore protagonista della Mostra del Cinema di Venezia 78°. Rivediamo l’interprete anche in “Dune” di Denis Villeneuve, e nell’unica serie tv presentata alla Mostra “Scene da un matrimonio”, remake firmato dal regista israeliano Hagai Levi dall’omonima opera di Ingmar Bergman.
Ottima anche l’interpretazione di Willem Dafoe (The Lighthouse, Van Gogh – sulla soglia dell’eternità), dell’attrice e comica Tiffany Haddish (Amiche in affari, New Girl) e della giovane rivelazione Tye Sheridan, Palma d’oro a soli quindici anni con The Tree of Life di Terrence Malick.

Con uno sguardo glaciale, ipnotico e a tratti allucinato, Isaac si insinua nei panni del giocatore di carte professionista, nonché ex-militare William Tell. Lo ritroviamo dopo aver scontato alcuni anni di prigione per aver partecipato alle torture di Abu Ghraib, mentre adesso trascorre la vita nell’ombra diviso tra rituali ossessivi e anonimi giochi d’azzardo.
Non solo quindi il tema psichico ma anche quello politico, mai attuale come oggi in un ritratto della società contemporanea dove, secondo Schrader, non esiste più il minimo senso di responsabilità. Esplode così il bisogno di redimersi, disperata necessità di riscatto che Tell ripone in due nuove figure della sua vita.
Da una parte l’attraente La Linda (Tiffany Haddish) pronta a finanziare il gioco a poker per condividerne successo e amore. Mentre dall’altra c’è Cirk (Tye Sheriden), giovane che desidera vendicare il padre, anche lui nell’esercito con Tell sotto la supervisione del maggiore John Gordo (Willem Dafoe), nemico in comune.
Procede quindi a ritmo serrato il passaggio dall’anonimato al successo, condizione che smette di proteggere Will dal passato e che lo rigurgita fuori quell’ambiente asettico nel quale non erano contemplati sogni e legami umani.

Ma cosa succedeva davvero in quelle prigioni in Iraq? Un distorto flashback fotografato da Alexander Dynan ci trascina in soggettiva all’interno di quelle spaventose celle. La musica si fa assordante mentre assumiamo la stessa percezione visiva degli incubi di Tell. Adesso siamo come lui, in qualche modo complici e vittime delle conseguenze delle azioni militari. Per liberarcene, tuttavia, non possiamo contare su nessun altro, e questo Will lo capisce troppo tardi.
Il conto delle carte lo puoi fare solo su te stesso, ma che probabilità hai di salvarti ora che hai macchiato la tua coscienza con azioni imperdonabili? Nessuna, perché se è vero che la mente può dimenticare, “il corpo ricorda, incamera tutto”. Segue così l’ultima intima scena dove Tell appare di nuovo a suo agio e impassibile, consapevole di trovarsi nel posto giusto: la sua prigione mentale.
E mentre ci chiediamo se mai quelle due mani sullo sfondo torneranno a sfiorarsi davvero, il controllo della narrazione è preso dal brano “Mercy Of Man” che scandisce gli ultimi istanti de “Il collezionista di carte”. Il viaggio sta per conlcudersi, mentre salutiamo le ipnotiche luci di Atlantic City oscurate adesso dalla calma apparente di un’inguaribile solitudine esistenziale.
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