
American Horror Story 7×11 “Great Again” – recensione:
“Great Again” Ecco com’è stato intitolato l’episodio finale di questa settima stagione di American Horror Story…. Ma è davvero “Di nuovo grande”?! Per quanto riguarda il giudizio su l’intera stagione, il popolo sembra sia, ma non del tutto, unanime riguardo proprio la qualità rispetto alla stagione precedente “My Roanoke Nightmare”. Sicuramente, il tema scelto è molto più alla “American Horror Story” rispetto alla sesta stagione.
Già dal primo episodio, si potrebbe dire, che siamo stati catapultati nuovamente in quel mondo che gli autori ci hanno sempre mostrato “malato”, splatter e pieno di ansie. Questa 7×11 mi ha riportato a provare le stesse, se non simili, sensazioni della scena di “Asylum” quando Lana Winters scappa dal manicomio con il nastro che conteneva la confessione di Bloody Face. Avevo il cuore in gola.
Un’altra cosa positiva, è stato il ritorno della sigla… La quale salto ogni volta, perché mi fa venire i brividi. American Horror Story effettivamente non fa “paura” come serie, è giusto un po’… Tanto… Scenica, ovvero, che con le immagini che ci propone non è consigliabile ad un pubblico sensibile. Tornando a parlare del finale di stagione, qua il pubblico si è un po’ diviso. C’è chi ha apprezzato, come me, e chi invece è rimasto veramente deluso. Ma se parliamo delle performance dei due attori principali: Evan Peters e Sarah Paulson. Sicuramente il pensiero sarà simile per tutti: inchiniamoci davanti a questi due favolosi attori.

Evan Peters è stato il più apprezzato, venendo definito come: una vera e propria scoperta. Fargli interpretare Kai Anderson è stata una mossa davvero vincente, perché proprio attraverso questo personaggio è riuscito a suscitare nei telespettatori quella paura che lo stesso personaggio tanto bramava. La sua misoginia estremista è stata giustificata abbastanza bene attraverso la sua visione del mondo e quindi della società, davvero molto antiquata. Evan Peters ha ricevuto, quindi, un ruolo molto importante… O meglio ruoli… Dimostrando finalmente di che pasta è fatto.

Se vogliamo parlare delle doti recitative della Paulson, quelle sono ormai una garanzia. Ad inizio stagione sembrava di rivedere il tipico personaggio della piagnona che urla e si lamenta della sua vita senza cercare di migliorarla. Mentre andando avanti, andiamo incontro ad un cambiamento davvero radicale. Passiamo dal tipico personaggio Paulsiano, che arriva all’estremo toccando il fondo del barile, pieno di ansie e insicurezze… Se non una vera e proprio fuori di testa… Ad una persona totalmente diversa. Un personaggio molto simile a quello di Lana Winters. Finalmente Ally si rimbocca le maniche e fa quello che la vecchia se stessa non avrebbe mai avuto il coraggio di fare: Entrare nel Culto ed essere la causa della sua fine attraverso strategie perfettamente elaborate. Un applauso di 92 minuti per la Paulson.
Ma se il giudizio dei personaggi è uguale per tutti, perché molti sono rimasti con l’amaro in bocca per il finale? Bé, dopo Roanoke, la maggior parte del pubblico stava perdendo le speranze aspettandosi qualcosa di simile, ma invece sono stati sorpresi ritrovandosi davanti una stagione davvero fantastica. Come dicevo prima: un vero e proprio ritorno alle origini.
Per la metà di telespettatori sembrava sì, un ritorno alle origini, ma da quello che si può leggere sul web, l’episodio conclusivo li ha totalmente delusi. Senza senso: ecco come viene definito. La morte di Kai Anderson era prevedibile, ma allo stesso tempo molti lo volevano vivo. L’uscita dal carcere progettata in maniera pessima e poco realistica. Per chi invece lo voleva morto, non ha apprezzato il modo in cui è stato ucciso e, se così si può definire, l’happy ending di Ally. Data la centralità del personaggio interpretato da Peters, il pubblico pro, si aspettava una morte meno prevedibile e degna della sua performance recitativa.

Mentre gli affezionati al personaggio della ex psicopatica, paranoica Ally, che voleva proteggere la sua famiglia a tutti i costi, vederla trasformata come una copia al femminile di Kai ha suscitato un bel po’ di fastidio. Combattere un uomo che ha dei valori assolutamente sbagliati, uccidere e mentire per distruggere un culto, per finire a fare cosa? Diventare come lui e crearne un altro.
Chi invece è stato pienamente soddisfatto, non parla affatto della morte di Kai, quanto invece dell’evoluzione di Ally. La sua morte era assolutamente prevedibile e quella scena mi ha fatto aumentare il battito cardiaco... Era ovvio che Kai fallisse il suo piano. Secondo un mio parere personale, e parlo da femminista, terminare così stile Coven, mi è piaciuto da morire. Non dico che sia stato un finale con i fiocchi, solo perché termina con una donna “al potere”, ma l’ho adorato perché mi ha ricordato per molti versi Lana Winters… Che chiede interviste a chiunque che manco Barbara D’urso. Ally in un solo episodio è riuscita a diventare ciò che Kai voleva in un’intera stagione. Questo è il Girl Power.
Conoscendo abbastanza bene la fine che fanno le donne omosessuali nel mondo telefilmico di Ryan Murphy, credo che a Sarah Paulson stia andando anche troppo bene. Non sono rimasta dispiaciuta nel vedere Ally diventare la versione femminile di Kai, questo è solo un messaggio riferito al fatto che siamo circondati da culti o sette, anche se ognuno ha il suo pensiero e che alla fine chiunque salga al potere ha un lato oscuro. “A questo mondo c’è qualcosa di più pericoloso di un uomo umiliato: Una donna crudele.” L’unica cosa che mi ha un po’ confuso è stata la scena finale: Ally che si mette il cappuccio e che ci fa capire che fa parte delle SKUM.
La domanda che mi pongo è: “Ma in realtà ha finto fin dall’inizio? Ci ha fatto credere di essere una psicopatica, mentre in realtà stava benissimo?!” Va bé, non lo sapremo mai, ma l’unica cosa certa è questa: la suprema è tornata.
Ottava stagione ti aspettiamo con ansia!
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