Ferrari, l’ambizioso progetto di Michael Mann
Il film Ferrari arriva finalmente al cinema il prossimo 14 dicembre, dopo essere stato in concorso alla 80ma Mostra Internazionale d’Arte Cinematografica di Venezia. Attesissimo film di Michael Mann (Collateral, Heat), regista candidato agli Oscar, con protagonista Adam Driver nel ruolo di Enzo Ferrari e Penelope Cruz in quello della moglie Laura.
Nel cast ci sono anche Shailene Woodley (Lina Lardi), Patrick Dempsey e Jack O’Connell (Skins) sono i piloti Piero Taruffi e Peter Collins, Sarah Gadon è Linda Christian e Gabriel Leone il carismatico Fon De Portago. Scritto da Troy Kennedy Martin (The Italian Job) e dallo stesso Mann, il film è basato sul romanzo di Brock Yates “Enzo Ferrari: The Man and The Machine” ed è stato girato in Italia.
Modena 1957. Enzo Ferrari, ex pilota e costruttore delle auto più famose al mondo, sta vivendo una crisi personale e professionale. L’azienda che dieci anni prima aveva creato dal nulla è in grave difficoltà. Anche il matrimonio con la moglie Laura sta diventando sempre più tempestoso dopo la morte del loro unico figlio Dino e la scoperta dell’esistenza di Piero, il figlio che Ferrari ha avuto da una relazione extraconiugale. In cerca di riscatto, il “Drake” decide di puntare tutto su una gara di velocità che si disputa in Italia: la leggendaria Mille Miglia. Il 1957 è anche l’anno della tragedia di Guidizzolo, in cui morirono de Portago, il co-pilota e nove persone, tra cui cinque bambini. A seguito di ciò, Ferrari venne incriminato, e poi assolto.
Il film Ferrari arriva al cinema in un momento non del tutto favorevole. Dopo le critiche ricevuto a Venezia, la concorrenza sotto Natale è elevata, su tutti l’uscita simultanea del film Wonka. Il progetto tanto ambito da Michael Mann è un lavoro che dura da anni. Inizialmente, il regista voleva Christian Bale o Hugh Jackman nel ruolo di Enzo. Alla fine il ruolo è andato ad Adam Driver che dopo House of Gucci sembra averci preso la mano con le interpretazioni di personaggi di spicco italiani. Prima di accanirmi sulla questione lingua internazionale, che per noi italiani darà molto fastidio – Favino ha ragione -, il film ha anche dei pregi.
Ferrari, la recensione del film con Adam Driver
In primis non si tratta di un biopic, bensì di uno spaccato della vita di Ferrari, tra corse automobilistiche anni Cinquanta e le vicissitudini familiari. Sopratutto la scommessa all-inn sulla Mille Miglia durante l’estate italiana nel 1957. Il film riesce molto nella rappresentazione delle corse in auto, a livello di regia con l’aiuto di un ottimo mix sonoro. Ogni volta che un pilota entra in una vettura, si ha la sensazione che la morte sia dietro l’angolo. La morte c’è, e il pericolo delle macchine in quegli anni è palesato ai nostri occhi e nostre orecchie. Il tutto mette ancora più in evidenza i progressi sulla sicurezza dei piloti oggi.
Piero Taruffi, Peter Collins e Fon De Portago sono visti come degli eroi, che quando si preparano alla Mille Miglia scrivono una lettera alla propria amata, in caso non dovessero più tornare – come soldati al fronte.
La figura di Enzo Ferrari è molto più complessa di quanto un pubblico generalista possa pensare. Le interpretazioni di Driver e Cruz sono impeccabili, e il conflitto tra i due è il cardine di tutto il film. Tra un montaggio alternato e un altro, il parallelismo è evidente con il prossimo record da battere in pista e le loro problematiche familiari. Ferrari era il Drake, genio dell’ingegneria, uomo tormentato, considerato una vera celebrità tra la gente, sempre sotto i riflettori della stampa, e critica appostata dietro l’angolo per gli scoop sulla sua vita privata. Al tempo stesso era un buon comunicatore e sapeva gestire la notorietà di uomo d’affari, compromettendo spesso la sua etica morale.
Per chiudere la parte degli aspetti positivi, la regia di Mann è giostrata molto bene per un film sulle corse di auto. L’ultima parte dedicata alla Mille Miglia è una gioia per gli occhi, soprattutto le scene in notturna, le ruote in corsa, il climax crescente tra uno stacco e l’altro fino al terribile incidente a Guidizzolo.
La questione problematica in cui la pellicola intacca riguarda l’uso della lingua internazionale. Dopo un po’ ci si abitua nel corso del film, ma non basta al progetto di Mann a togliere quel senso esotico nel sentire attori recitare in inglese con un accento italiano, che non diverge troppo da un film sulla mafia italo-americana (da notare una scena di montaggio alternato molto simile a Il Padrino, tra chiesa e corsa su pista). Il “rumore di fondo” italiano dei personaggi secondari è ancora più corroborante e straniante, oltre ai vari “commendatore”, “signora”, “avvocato”. Una tecnica tipica dei prodotti storici o fantasy, in cui i personaggi parlano la propria lingua con gli stranieri e nei dialoghi intimi utilizzano l’inglese.
Chissà se il problema riguarda solo noi italiani, però data la veridicità storica e il fatto che il film sia stato girato nel nostro Paese, la lingua usata rimane un fattore importane. L’impatto è straniante e influenza molto nel un giudizio complessivo sul film.
Non fatevi ingannare dalla presenza di Patrick Dempsey: sprecato, anche se lui rimane sempre fascinoso. Con la chioma argentata mentre sfreccia con la sua Ferrari tra le città del centro Italia.
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