Romulus: cosa aspettarsi dal kolossal di Sky
“Un progetto totalizzante in ogni aspetto”. Queste le parole del giovane Andrea Arcangeli in merito a Romulus, ambizioso kolossal targato Sky nel quale l’attore interpreta il coraggioso principe Yemos. Sono quattro gli anni di lavoro costante sulla base di ricerche storiche documentate, con migliaia di figurazioni, mille presenze stunt e centinaia di armi riprodotte. Tra le altre sfide affrontate c’è poi quella fisica, mentale e soprattutto della lingua.
Non a caso Romulus è una serie girata interamente in protolatino, un linguaggio ricostruito nel minimo dettaglio per dar voce a ciascuno dei personaggi di questa storia come mai si era visto prima. “Una serie in protolatino l’abbiamo fatta solo noi” afferma lo scorso 23 ottobre il fondatore di Cattleya Riccardo Tozzi in occasione del Festival del Cinema di Roma. Ed è questo il punto di partenza della produzione Sky, Cattleya e Groenlandia che supera miti e leggende presentando una versione inedita della fondazione di Roma.
“Andiamo nell’VIII secolo a.C. cercando di trasportare lo spettatore in questa grande arena e proviamo ad immaginare cosa potrebbe essere successo davvero che poi ha generato la leggenda”, dichiara lo showrunner Matteo Rovere già creatore de Il primo re.
Romulus è però un racconto che nasce e si posiziona ancor prima della realizzazione del film, un progetto che è “la genesi della leggenda”, come la definisce il regista. Scopriamo quindi un mondo lontano e misterioso di cui non si hanno testimonianze scritte, almeno fino a oggi.
Filippo Gravino spiega che è stato necessario inventarsi un mondo da zero con fondamentali approfondimenti storici e antropologici per risalire ai veri materiali plastici dell’epoca. Abitazioni, capanne, armi, tutti elementi che rendono questo universo, già al limite tra storia vera e racconto fantasy, ancora più realistico.
Merito delle idee di Matteo Rovere e della libertà creativa a disposizione dei registi Michele Alhaique ed Enrico Maria Artale. Contaminandosi tra loro, i registi hanno dato vita a un racconto coerente e accattivante: “I sei mesi tra casting, ricerca degli ambienti, lavoro della scenografia e dei costumi è stato fondamentale per arrivare più solidi sul set e capire la direzione unica già solcata da Matteo” afferma Michele Alhaique in riferimento al film Il primo re.
Scopriamo quindi una direzione che incontra l’universo ostile e inaccessibile di Romulus, eppure molto vicino a noi più di quanto crediamo. Come afferma lo sceneggiatore Guido Iuculano tutto ha inizio dal potere, e in particolare dall’esigenza di un ordine politico dettato dall’incertezza e dalla crisi, elementi ancora oggi attuali.
“Abbiamo iniziato a parlare di una crisi”, spiega lo sceneggiatore: “ E abbiamo raccontato, utilizzando tutti i materiali che ci dava la leggenda, l’antropologia, l’archeologia, una storia di come dalla crisi possa nascere un nuovo ordine”. Queste le parole di Iuculano che aggiunge infine: “Ci sembrava molto attuale, ci sembrava parlare di noi”.
Come fare però a mettere in scena elementi della quotidianità più spicciola come il saluto tra due personaggi o la manifestazione della paura e dell’amore di uomini e donne vissuti nell’ottavo secolo? Risponde a questa domanda il regista Enrico Maria Artale che afferma: “Credo che per me e per Michele la sfida e la complessità si è giocata a un livello più relativo al dettaglio”.
Lo stesso approfondimento è poi stato fatto anche con i rituali, ovvero le credenze e le usanze dell’epoca che solo attraverso gli studi antropologici è stato possibile comprendere e mettere in scena. “Ci siamo chiesti come parlassero” suggerisce il regista Michele Alhaique riferendosi alla libertà creativa durante la realizzazione di Romulus.
Quando infatti nemmeno la lingua era universale per le diverse popolazioni della Lega Latina, ad accomunarli era l’idea del divino e di tutto ciò che c’era di trascendentale a cui credere. In Romulus scopriamo quindi il modo in cui la collettività si riunisce attraverso un obiettivo e una interrogazione divina.
“Questa libertà è stata per noi molto stimolante, nel senso che per una volta abbiamo messo da parte il racconto del reale e ci siamo letteralemente immersi nel fango”, aggiunge infine Michele Alhaique. A sapere molto bene cosa significa immergersi nel fango sono poi giovani protagonisti di questa storia come Andrea Arcangeli, Marianna Fontana e Francesco Di Napoli. A loro noi Tvserial.it abbiamo chiesto di raccontarci la lezione più grande appresa sul set.
Francesco Di Napoli, l’interprete dello schiavo Wiros, spiega che sono tante le cose apprese durante la sua esperienza, ma nel dettaglio ecco le sue parole: “Come prima cosa entrare in un personaggio che non mi appartiene e che è lontano dai nostri tempi, quindi Romulus mi ha insegnato a fare l’attore”.
Andrea Arcangeli invece afferma: “Come attore un lavoro del genere ti apre le prospettive a quelli che possono essere dei limiti”. La lezione più grande per Andrea Arcangeli è quindi quella di riconoscere i propri limiti e prepararsi già a superare quelli successivi.
Ascoltiamo poi la risposta di Marianna Fontana, protagonista femminile nel ruolo della determinata Ilia, figlia di Amulius rinchiusa dall’età di sei anni nel tempio di Vesta: “Ho imparato tanto perché ci sono talmente degli ostacoli sul set- il freddo, il latino, la coreografia per i combattimenti, il cavallo” afferma la giovane attrice campana che aggiunge: “Ho imparato soprattutto a mantenere una soglia di concentrazione molto alta, quindi mi porterò molta concentrazione che non sapevo di avere”.
Chi pensa invece che Romulus sia una serie al maschile per la brutalità dei temi narrati si sbaglia. Secondo lo sceneggiatore Filippo Gravino si tratta di un progetto basato sul racconto del potere, e quindi un tema sempre appetibile sia al pubblico maschile che femminile.
“Il mondo maschile è presente, ma ci sono dei personaggi, come Yemos e Wiros, che nascondono una sensibilità femminile” aggiunge inoltre la giovane Marianna Fontana: “Poi ci sono le donne che si fanno sentire e, anche se sono poche, hanno una grande influenza scenica ed emotiva ed influiscono molto sugli uomini”.
Romulus si può riassumere quindi in un “racconto di emancipazione”, come lo definisce Filippo Gravino durante il Festival del Cinema di Roma. Una sfida per mettere in scena fragilità e voglia di riscatto di ragazzi di un mondo passato eppure molto vicini a noi.
E se vero che niente di quello che ci circonda è mai del tutto comprensibile, ci chiediamo se Romulus non sia un riflesso della nostra contemporaneità che ci spinge a riflettere sulle incertezze di oggi; dopotutto «Solo a Roma ci si può preparare a comprendere Roma» Goethe.
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