“Il dolore è traditore: viene fuori piano piano”. Guardare Sulla Mia Pelle, film di Alessio Cremonini in uscita su Netflix e al cinema dal 12 settembre, è un’agonia. Volutamente. Il dolore affiora lentamente nel ricostruire l’ultima settimana di vita di Stefano Cucchi, fermato dai carabinieri il 15 ottobre 2009 con addosso 21 grammi di hashish e tre dosi di cocaina e morto in custodia cautelare sette giorni dopo, impiegandoci lo stesso tempo di un ematoma ad apparire.
Lo sguardo crudo del regista non risparmia le contraddizioni di uno dei casi più complessi nella recente memoria giudiziaria italiana, e lo fa illuminandolo con le luci al neon delle caserme dei carabinieri, delle stanze degli ospedali, dei corridoi dei tribunali. C’è un numero che quantifica l’indifferenza nei confronti di Cucchi: 140 le persone entrate in contatto con lui nei sette giorni tra l’arresto e la morte
Ad oggi non ha ancora trovato una spiegazione scientificamente condivisa sulla morte di Stefano Cucchi, ma c’è una verità giudiziaria. Nell’ambito dell’inchiesta-bis, cinque carabinieri che all’epoca prestavano servizio presso la stazione Appia di Roma sono stati rinviati a giudizio. Per i tre che arrestarono Stefano Cucchi l’accusa contestata dalla procura è di omicidio preterintenzionale, altri due militari sono accusati di falso e di calunnia. Il processo scaturito dagli esiti della seconda indagine sul caso Cucchi è iniziato lo scorso 20 ottobre per i tre carabinieri che secondo l’accusa sarebbero responsabili del pestaggio di Stefano.
Alessandro Borghi porta sullo schermo con estrema fedeltà l’uomo al centro della vicenda. Persino la parlata biascicata di Stefano, che si sentirà nella registrazione di convalida del fermo, è replicata con accuratezza. Borghi, che ha perso diciotto chili in tre mesi per girare Sulla Mia Pelle, consegna un’interpretazione che a tratti è difficile da guardare, eppure è impossibile distogliere lo sguardo.

“Chiunque può rendere complicato ciò che è semplice, ci vuole un genio per rendere semplice ciò che è complicato” sosteneva Woody Guthrie. Quello che rimane addosso allo spettatore di Sulla Mia Pelle è la credibilità con cui Cremonini è riuscito a portare sullo schermo la semplicità del male, il senso di abbandono e di isolamento provato dai genitori Giovanni e Rita Cucchi, rispettivamente interpretati da Max Tortora e Milvia Marigliano.
“Sei credente?” chiede una volontaria a Stefano quando è ricoverato presso la struttura protetta dell’ospedale Pertini di Roma: “sono sperante” risponde, abbozzando un sorriso. Nonostante tutto, Sulla Mia Pelle non è pervaso da amarezza, disfattismo o sfiducia. La speranza è rappresentata da Ilaria, sorella di Stefano che nel film ha il volto di Jasmine Trinca. Se non fosse stato per Ilaria Cucchi e la decisione sofferta e coraggiosa di diffondere le foto dell’autopsia del fratello non ci sarebbe mai stato un processo. Mostrare i segni delle violenze subite da Stefano era l’unico modo per mettere a tacere chi ripeteva ancora che fosse morto a causa di una caduta dalle scale.
Cremonini affronta la più grande ingiustizia accaduta a Stefano Cucchi, l’omertà, realizzando un film che rompe un certo tipo di silenzio: quello strisciante di chi sa solo essere forte contro i deboli. Lo stesso silenzio che portò Stefano Cucchi il 22 ottobre 2009 ad essere il decesso in carcere numero 148. “Tutti gli animali sono uguali – ma alcuni sono più uguali degli altri” dice Orwell ne La Fattoria degli Animali. Sulla Mia Pelle rimane un film e in quanto tale non emette un verdetto, ma consegna allo spettatore una convinzione: non dimenticare quello che può succedere quando scegliamo di non essere umani.
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