Come rappresentare il dolore con l’assenza di parole? Ci prova Nanni Moretti con Tre piani, la sua tredicesima opera che intreccia storie e personaggi in un racconto di attese e disillusioni.
Il film del regista romano, il primo nella sua carriera tratto da un soggetto non originale, prende spunto dall’omonimo romanzo dello scrittore israeliano Eshkol Nevo, e riporta il vincitore della Palma d’oro per La stanza del figlio al Festival di Cannes 2021. Questa volta, però, l’unico film italiano in concorso alla mostra non si aggiudica nessuna statuetta, ma in compenso ottiene undici minuti di applausi.
A non convincere è forse l’inusuale complessità degli eventi narrati, intrecci che non lasciano mai spazio all’ironia né tanto meno alla possibilità di empatizzare con i personaggi. Quest’ultimi, avvolti da un velo di solitudine e sofferenza, sono gli abitanti di una palazzina borghese dove tutto sembra scorrere sereno e senza grossi imprevisti, almeno fino a quando un evento scatenante, rappresentato qui da incidente d’auto, finisce per irrompere nelle vite di tutti loro svelandone paure e fragilità.
Ecco quindi che ogni sicurezza fino ad allora ostentata finisce per trasformarsi in dolore e disincanto, sentimenti provati ad esempio dagli inquilini del terzo piano Vittorio (Nanni Moretti) e Dora (Margehrita Buy), una coppia di magistrati sottoposti alle gravi e imbarazzanti delusioni del giovane figlio Andrea (Alessandro Sperduti).
Al secondo piano osserviamo invece la fatica e il terrore negli occhi di Monica (Alba Rohrwacher), neo-mamma che soffre per la lontananza continua del marito Giorgio (Adriano Giannini), fuori città per lavoro anche il delicato giorno del parto.
Giungiamo così ai dolori nascosti nella casa del primo piano, dove Lucio (Riccardo Scamarcio) e Sara (Elena Lietti) sono i giovani genitori della piccola Francesca. Il loro senso di angoscia e paura nasce dal sospetto che il loro anziano vicino di casa, Renato (Paolo Graziosi), possa aver abusato della figlioletta.
Tratteggiando una cupa metafora del mondo, Moretti dimostra come diffidenza, tensioni e incomunicabilità spingano gli uomini ai gesti più impensabili e immorali.
Lo scopriamo da una storia corale lunga dieci anni in cui uomini e donne si rincorrono nel disperato tentativo di sfuggire al fantasma della solitudine. Tutti infelici a modo loro, i protagonisti di Tre piani sono come alla ricerca di una giustizia morale che li aiuti a superare le proprie difficoltà.
In questo caso, però, l’unica giustizia possibile non è decretata da un giudice o legge, ma esiste solo quando si è in grado di reagire agli sbagli e ai fallimenti con coraggio e generosità.
Questo le donne del cinema di Moretti lo sanno bene, dato che più degli uomini sono capaci di uscire vittoriose dal cinico e disilluso confronto con la durezza del mondo. Dopotutto, solo quando ci concederemo la possibilità di cambiare visione delle cose allora quel mondo lì ci sembrerà meno “guasto”.
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