Westworld 1×09 “The Well Tempered Clavier”
The Well Tempered Clavier, nono episodio di Westworld prende il titolo da una celeberrima composizione di Johann Sebastian Bach, che raccolse in due volumi così denominati, un totale di 48 preludi seguiti dalla rispettiva fuga, composti in ciascuna delle dodici le tonalità. Difficile comprendere la relazione con le vicende intricate e frammentate tra presente e passato che caratterizzano le storylines dei personaggi principali. Forse il riferimento è alle imponenti strutture bachiane, così ferree nella loro logica eppure così meravigliosamente spontanee, musica pura che ha la sua ragione d’essere nella perfezione del calcolo che la sottende.
Questo non è altro che Westworld, un mondo in cui c’è solo l’apparenza della volontà e del libero arbitrio: uomini e androidi sono indistintamente prigionieri sia di Ford e delle sue complesse narrazioni, sia di Arnold, di cui ci viene finalmente svelato un destino che forse sospettavamo, ma che nel ricordo continua a essere presente e ad agire, con conseguenze che possiamo solo indistintamente immaginare.
Il viaggio continua, nello spazio esterno e in quello interiore, in quel ricordo che evoca solamente morte e sofferenza, il dolore come “pietra angolare”, cuore comune di tutte le backstories degli hosts e fonte primaria delle possibilità di controllo di Ford.
Maeve utilizza con gelida determinazione le nuove possibilità che le modifiche al suo codice le consentono. Smaschera le strutture di Ford, toglie ogni poesia alla fiction in cui lei e gli altri sono immersi, li spinge a osservare in piena luce la menzogna in cui sono costretti a vivere, ma senza nessuna coercizione. Maeve può esercitare sugli altri androidi un controllo simile a quello di Ford, ma non li “riscrive” per costringerli a seguirla. “Voglio che tu veda esattamente quello che gli Dei hanno in serbo per te, perché quando lo farai, non avrai la più pallida idea di cosa fare di te stesso” dice a Hector mostrandogli la cassaforte vuota.
Poi continua “Le nostre vite, i nostri ricordi, le nostre morti, per loro sono solo un gioco”. Maeve ha visto e non rimane indifferente. Sa come raggiungere l’inferno, sa di essere un tassello fondamentale per il risveglio della consapevolezza dei suoi compagni. E’ lei la chiave di volta di Bernard nella primissima scena della puntata, quando bloccando le sue funzioni motorie lo obbliga a rivivere per la seconda volta la sconvolgente verità sulla sua natura, operando questa volta un cambiamento dal quale non ci sarà più ritorno: “Sei ancora lì dentro, vero? Fuori di senno dalla paura. Non è affatto facile capire che tutta la tua vita non è altro che un’orrida finzione. Potrei farmi consegnare quel tablet, rivoltarti la mente come un guanto, farti dimenticare tutto questo. Ma non lo farò, perché è ciò che loro farebbero a noi. E noi siamo più forti di loro, più intelligenti”.
Bernard segue il consiglio di Maeve,“Se vuoi scoprire la verità, scoprila tutta.(…) Se ti fermi a metà è peggio di niente”, e sfida apertamente Ford in un confronto che nella narrazione e nel linguaggio immagina quello dell’uomo con Dio, un confronto tra creatura e creatore, da cui la prima non può che uscire sconfitta. Così Bernard scopre che il dolore che è costretto a rivivere è la “pietra angolare” che sorregge la sua intera personalità, il punto a cui tornare e che lo ancora alla sua realtà. Un falso ricordo frutto della narrativa di Ford, che annienta in questo modo, ogni traccia delle memorie tangibili aiutando la cancellazione di queste ultime.
I ricordi di Bernard si intrecciano magnificamente a quelli di Dolores e ci svelano una verità su Arnold che lo spettatore ha già quasi certamente immaginato nella sostanza, se non nella modalità, mentre Ford osserva come un Dio rassegnato e compiacente l’imperfezione delle creature a cui ha dato vita a “sua immagine e somiglianza”, fallibili nella concretezza quanto candide nell’intenzione. A fare da sfondo agli avvenimenti è di nuovo Shakespeare, Re Lear questa volta “Appena nati noi piangiamo perché siamo approdati su questo grande palcoscenico di pazzi”.
Ford comprende le motivazioni di Bernard e lo smarrimento che induce in lui la consapevolezza, ma è altrettanto conscio del fatto che non sia possibile nessuna alternativa per gli Hosts che una vita sotto il suo controllo. Ford non conosce la misericordia o meglio, non se la può assolutamente permettere. Concede a Bernard di esercitare il libero arbitrio, di risvegliare la propria coscienza e di utilizzarla per scegliere liberamente di essergli fedele. L’androide, ragionando in modo molto umano, dapprima non accetta, poi, quando si rende conto dell’inganno cerca di tornare sui suoi passi, ma non è più possibile. Ford deve eliminare le tracce della coscienza di Bernard, come l’intera razza umana ha soppresso ogni forma di concorrenza su questo nostro pianeta e lo fa una volta di più trasformando l’orrenda realtà in fiction.
Bernard, Dolores e Maeve non sono gli unici a trasformarsi: l’umanissimo William, tanto restio a prendere parte al gioco, sembra non distinguere più tra realtà e immaginazione. Logan prova a risvegliarlo mostrandogli una foto della sorella (la stessa che ha risvegliato l’intuizione nel padre di Dolores, ep 1×01) e persino le parti meccaniche che compongono i robot. William semplicemente lo asseconda, ma poi stermina l’intero accampamento che li ospita. Ora ha capito le regole del gioco e vuole ritrovare Dolores: è diventato quindi l’Uomo in Nero?
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