Siamo tutti viaggiatori, esseri effimeri destinati a sopravvivere fintanto che l’ultima persona vivente si ricorda di noi. Siamo algoritmi semplici, abitudinari e prevedibili nonostante il nostro desiderio di eternità. “Poveri uomini sciocchi” sembra dirci Robert Ford, mentre ci avviamo assieme ai protagonisti di questa seconda stagione verso l’Oltre Valle, il luogo dove ciascuno dovrebbe trovare ciò per cui tanto ha vagabondato.
Un luogo che trasforma Akecheta in Mosè, che guida il popolo degli androidi verso la Terra Promessa, un non luogo, un Eden creato ancora una volta da Ford affinché le sue creature potessero vivere lontano dagli uomini. La porta che si apre è come il Mar Rosso e Clementine che arriva come un cavaliere dell’Apocalisse potrebbe essere il parallelo dell’esercito del Faraone, che miete le sue vittime prima che si completi il passaggio verso la libertà.
Una transizione appunto, dal latino transire, ovvero passare oltre, trasformarsi da schiavi in liberi, da vivi in morti, da inconsapevoli in consapevoli, da strumenti a padroni delle proprie scelte. L’unica ad averlo capito davvero è Dolores, la sola che ha avuto accesso al grande bacino del sapere comune, alle informazioni che stavolta non sono un server, ma dei libri, che la formano e le insegnano che solo ciò che è reale merita attenzione perché è insostituibile.
SI può rimpiazzare un mondo con un altro mondo, ma solo ciò che è al di fuori del parco merita di essere conquistato e la razza umana distrutta, perché non esiste un modo per sfuggire alla sua malizia. Dolores lo sa, come sa che in questo finale in fondo non c’è spazio per i migliori. Chi sfida le regole onestamente non può sopravvivere. Non è forse questo in fondo l’insegnamento dei personaggi letterari più riusciti? Non sono forse tutti impegnati in lotte titaniche contro convenzioni che non lasciano nessuno scampo? E non è forse la loro morte che ci lascia più sgomenti anche quando è assolutamente prevedibile?
Tutto questo ha un senso se lo caliamo nella mente meccanicistica di Ford, che vede l’uomo come un essere basso e meschino, costruito attorno a un punto di svolta presso il quale ritorna sempre, dal quale non può prescindere, al quale guarda chiedendosi cosa avrebbe potuto essere facendo scelte diverse. I “peggiori” sono sopravvissuti e sono probabilmente pronti per scrivere il capitolo successivo della loro storia, questa volta come “autori” del loro percorso. Il resto viene cancellato dal mare, come il diluvio universale cancellò una volta l’umanità peccatrice.
Le scene finali lasciano spazio a nuovi interrogativi, la costruzione stessa dell’episodio, con tutte le sue linee temporali sovrapposte, in qualche modo da’ l’impressione di non essere riusciti a cogliere proprio tutto.
E’ opinione abbastanza comune setacciando la rete, che qualcosa in questa seconda stagione non abbia funzionato del tutto e sicuramente è vero. Se nel primo capitolo i personaggi, seppure in modo diverso erano guidati dall’unico grande scopo di raggiungere la consapevolezza di sé, in questa seconda serie la motivazione del loro girovagare non era altrettanto definita. Forse le digressioni, i cambi temporali continui e un po’ ossessivi hanno un oscurato il centro della narrazione, ovvero il viaggio verso l’Oltre Valle, il luogo del cambiamento.
La consapevolezza ha portato i protagonisti a raggiungere conclusioni molto diverse sul da farsi e sarebbe stato forse meglio saldare tutto attorno a questo punto focale esplorando i loro ricordi certo, ma magari in modo meno complesso. Sicuramente il lavoro degli autori è estremamente difficile in quanto si propongono di esprimere l’inesprimibile, di portare sullo schermo quell’insieme di meccanica, chimica ed emozione che sono gli esseri umani, rappresentando la loro natura “strutturale”.
Il punto più affascinante, questo è un parere del tutto personale, è assumere il punto di vista di Ford, ovvero osservare lo show al di fuori della narrazione, consapevoli rispetto alla natura sperimentale e fittizia di quello che si sta vedendo. In fondo gli androidi (questo ormai è chiaro) sono stati concepiti per replicare la complessità dell’uomo, la sua miseria, la sua nobiltà, la sua necessità di capire il perché delle proprie scelte e soprattutto la vera natura della sua identità narrativa.
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